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Straub, Huillet, il festival e la voce di Ornella Vanoni. Lo sguardo dei mille occhi di Trieste

Gli omaggi, la riflessione, la sala e il senso profondo: Giulio Sangiorgio racconta la rassegna

Jean-Marie Straub e Danièle Huillet in osservazione.

TRIESTE – «Riscoprire. Sì, riscoprire, proprio in un tempo in cui si crede di avere tutto a disposizione, a portata di click, su piattaforma». Parte da queste parole di Giulio Sangiorgio, con Olaf Möller direttore di questa ventesima edizione, il nuovo viaggio de I Mille Occhi, la rassegna cinematografica che andrà in scena a Trieste fino al 26 marzo (trovate tutte le informazioni qui). «Per noi significa non solo ridare luce a film non visibili, ma anche di proporre nuove prospettive». E allora noi di Hot Corn abbiamo chiesto a Sangiorgio di condurci dentro il festival per cercare di capirne meglio dinamiche e struttura.

Da Trieste al mondo. Il poster de I Mille Occhi.

STRAUB E HUILLET – «Questa XX edizione del festival rappresenta, per tanti motivi, una rinascita, il principio di un nuovo percorso, un rinnovo. Perché ci sono due nuovi direttori (Olaf Moller e io, con Simone Starace alla direzione organizzativa), perché torniamo in sala dopo la pandemia, e perché intorno a noi il cinema, le sue forme, le sue pratiche sono cambiate. Si tratta di resistere, da un lato, e di aggiornarsi dall’altro. E allora un premio a Danièle Huillet (in memoria) e Jean-Marie Straub è per noi non solo un modo per omaggiare due cineasti irraggiungibili, ma anche un modo per ricordarci una questione importante: l’estremo classicismo è la massima avanguardia, il nitore dello sguardo sopravvive al consumo dei tempi. Vedere i loro film, oggi, significa sciacquare lo sguardo da troppe immagini, provare a ricominciare a vedere quello che conta».

Jean-Marie Straub (classe 1933) e Danièle Huillet (scomparso nel 2006).

LA SFIDA – «Un festival come I mille occhi è un festival che ha senso se vissuto in sala. Perché da un lato permette di vedere cose mai viste, cose rare, cose proiettate nelle modalità con cui sono state pensate. Cose che difficilmente saranno accessibili dopo, in un secondo tempo. E dall’altro è un festival dove la programmazione, l’intreccio tra i film, il dialogo tra i programmi, è protagonista. Si tratta di ridare luce a film non visibili, ma anche di proporre nuove prospettive, di far girare ingranaggi del pensiero un film dopo l’altro, e aprire punti di vista tramite il montaggio degli slot di programma. Riscoprire e creare percorsi critici (in un tempo in cui i percorsi li fanno gli algoritmi, e la critica si limita al mero giudizio tranciante) mi sembrano due cose per cui sì, vale ancora la pena fare un festival».

I viaggiatori della sera
Ornella Vanoni con Ugo Tognazzi ne I viaggiatori della sera che vedremo a I Mille Occhi.

IL CINEMA DI ORNELLA – «L’omaggio a Ornella Vanoni è nato da una scena ossessione. Quella in cui, in La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, autore-faro del festival, risuona Domani è un altro giorno. Per noi una delle scene più belle della storia del cinema. Ci siamo ricordati che Elisabetta Sgarbi, che premiamo con un Premio Anno Uno straordinario per l’editoria, l’aveva rifatta in I nomi del signor Sulcic, un film girato a Trieste. Così, fondendo queste due scene, è nata la sigla del festival. E la voglia di omaggiare Vanoni. Con il sostegno di I Wonder abbiamo deciso di proiettare Senza fine, il documentario su di lei diretto da Elisa Fuksas, e proporre due altre Ornelle possibili: la presenza da attrice, nel bellissimo I viaggiatori della sera di Ugo Tognazzi (il cui centenario festeggiamo anche nel programma dedicato a Lattuada, con Venga a prendere il caffè da noi: ecco un esempio di intreccio), e il fantasma sonoro, col suo ritornare ossessivo nella colonna sonora di un cult assoluto come Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci».

Un frammento de La statua vivente di Camillo Mastrocinque.

L’EVENTO – «Cose imperdibili? Ce ne sono tante: la proiezione in pellicola, in prima mondiale, della versione restaurata di La statua vivente, il primo film girato a Trieste, opera di Camillo Mastrocinque che sorprendentemente anticipa ossessioni hitchcockiane; la riscoperta di un umorista anarchico degli anni 30, Anton Germano Rossi, col suo surrealismo inquieto e ancor oggi politico; le tre ore e mezza di materiale inedito di Giulio Questi, coi suoi film casalinghi geniali girati in totale autarchia. Ma forse l’evento che credo riassuma meglio il nuovo spirito del festival è il programma dedicato e pensato a Jacques Perconte: un artista digitale, che fa bellissimi lavori pittorici, sfornando immagini documentarie tramite errori di compressione assolutamente ricercati, che scegli con Tommaso Isabella opere del passato con cui dialogare: Franju, De Seta, Ossang… Ecco, in questo ponte tra passato da riscoprire e futuro da esplorare, c’è tutto il senso del nostro progetto di festival…».

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