MILANO – «Io ho bisogno solo di un po’ di amore» sussurra Ah Jie al Telefono Amico, consapevole di non avere più niente, inconsapevole che la ricerca spasmodica di quella necessità lo trasformerà in fogli di carta gettati al vento. Help Me Eros si apre con volti tristi e neon accecanti, donne che arrivano e uomini che inseguono, gomitoli di una poetica taiwanese che Lee Kang-sheng ha ereditato dal suo maestro Tsai Ming-liang e che poi ha rielaborato in un film che esplora i sobborghi più laceranti della natura umana. Lee Kang-sheng, che con Tsai Ming-liang ha stretto un sodalizio artistico che lo ha visto apparire in ogni suo lungometraggio, ha deciso con Help me eros di fare un passo in più, un movimento artistico laterale che lo ha coinvolto nella direzione, nella scrittura e nell’interpretazione di un’opera intima e personale. Uscito nel 2007 e disponibile in streaming su Prime Video, Help Me Eros non è altro che l’apice stilistico e narrativo del racconto di una Taipei ancora confusa e destabilizzata dal proprio passato, di un luogo senza ricordi che non riesce a capire quale direzione intraprendere.

Ah Jie è specchio personificato della sua città, un uomo che ha perso tutti i suoi averi in borsa e che vive in un enorme casa vuota, attaccato alla cornetta del telefono per farsi sussurrare parole capaci di non farlo sprofondare. A farlo uscire da un equilibrio instabile e negativo sono due figure femminili agli antipodi: una voce e un corpo, la voce di chi si nasconde dietro quel numero verde e il corpo di una ragazza appena arrivata in città. Se con la voce della misteriosa Chyi instaura un gioco di non detti e inseguimenti mentali, con il corpo della giovane Shin balla un valzer fatto di viaggi in macchina, confidenze appena accennate e giochi sessuali che lo immergono di nuovo dentro un altro corpo. Ah Jie però ritrova nel sesso quello che sente con la droga: un senso di perdizione e straniamento che lo costringono a inseguire un qualcosa di ineffabile, di effimero, di lontano. Un atteggiamento che lo allontana dal conforto che aveva trovato nelle braccia di Shin e lo spinge a cercare come un viandante sonnambulo quella voce di Chyi così sensuale e soggiogante. Ah Jie diventa un fantasma che si aggira per la città, un mostro che invece di tuffarsi nella felicità si scontrerà con quel senso di tristezza e malinconia così manipolatorio da farlo cadere.

Lee Kang-sheng con Help Me Eros si inserisce nelle profondità umane, nelle sue piaghe emotive e relazionali. Il film disegna corpi che diventano proiezioni, che giocano a incastrarsi e mescolarsi in un bisogno sempre più insoddisfatto, sempre più impossibile da saziare. Ah Jie ama ciò che non ha, insegue quello che non può vedere, brama quel desiderio non ancora scoperto, quell’amore ancora sconosciuto alla mente. Shin sarebbe lì a soddisfarlo, ad accompagnarlo in viaggi infiniti, ma sono scatti e istantanee di felicità che Ah Jie non riesce a imprimere e trasformare in fotografie, rinnega la realtà in nome di una dimensione effimera così pregna di piacere ma così vuota da farlo roteare attorno al nulla. Help Me Eros traccia perfettamente i limiti e le peculiarità dell’essere umano, la sua tendenza a rincorrere l’impossibile, il suo affezionarsi all’infelicità, il suo chiudersi in recinti sociali conosciuti per manipolare quell’insoddisfazione cronica riempita istintivamente da un godimento meccanico, da un’alienazione autoimposta. Lee Kang-sheng costruisce un film denso e pregno di significato, che inizia estrapolando dallo Zibaldone il concetto di desiderio leopardiano e lo unisce a una Taipei divenuta luogo universale dove riflettere e giocare sui concetti di solitudine e desiderio.
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