ROMA – Gwilym Lee è smilzo, alto e non ha la capigliatura vistosa che Brian May continua a sfoggiare ancora oggi e che lo ha da sempre contraddistinto. Eppure, nei panni del giovane May in Bohemian Rhapsody – vero e proprio caso della stagione, 12 milioni di euro di incasso in Italia e a 600 milioni di dollari nel mondon – potrebbe essere scambiato per il May originale. L’interprete affianca il Freddie Mercury di Rami Malek nel biopic sulla vita della rockstar, sulla nascita dei Queen e il successo della band. Con il suo marcato accento inglese e il tipico aplomb britannico, Lee racconta a Hot Corn il suo incontro con la controparte reale e del cambio di regia che ha visto la sostituzione di Bryan Singer con Dexter Fletcher.

IL RUOLO «La prospettiva di impersonare qualcuno amato da tante persone è spaventosa. Quando mi avvicino ad un personaggio, di solito parto da dentro per poi riportarlo all’esterno, ma in Bohemian Rhapsody invece ho dovuto compiere il percorso inverso. Ogni volta che mi sentivo travolto cercavo di tornare su ciò che era possibile realizzare e l’appoggio di Brian (May, nda) in questo è stato fondamentale. Quello che ci era stato chiesto non era saper suonare bene, ma far sembrare che era una cosa che facevamo da una vita, come se ci venisse naturale…».

IO & BRIAN «Brian è stato di grande aiuto e di supporto. Il primo giorno sul set bussa alla mia porta, apre e mi trova completamente truccato e vestito come lui. C’è stato qualche secondo di silenzio, poi ha iniziato a sistemarmi la parrucca dicendo: «A dire il vero questo ricciolo era qui, questo era lì…». Dico questo per far capire che tipo di persona è Brian, tanto attenta al dettaglio. Non mi ha mai fatto sentire giudicato…».

NOI, I QUEEN «Sul set del film però noi non abbiamo mai cercato di essere uguali a loro, di imitarli, ma di raccontare una storia, la loro storia. Quando poi le scene erdiventavanono più personali e la recitazione prendeva il sopravvento, Roger (Taylor, nda) e Brian (May, nda) non si intromettevano, ci lasciavano stare. Credo in fondo sapessero che potevano e dovevano aiutarci dal punto di vista musicale, ma potevano stare sicuri dal punto di vista attoriale…».

LA SCENA «Una delle scene più difficili da girare? Direi che è stata quella del Live Aid, anche se a conti fatti ci ha permesso di sviluppare fin dall’inizio un linguaggio tutto nostro. Da quel momento, ogni volta che c’erano da fare le esibizioni dal vivo non seguivamo la coreografia, ma interagivamo tra di noi con molta naturalezza. Eravamo diventati noi il gruppo».

BRYAN SINGER «Il fatto che la regia sia passata da Bryan Singer a Dexter Fletcher non ci ha scombussolato poi più di tanto, non ha modificato il nostro feeling perché eravamo verso la fine delle riprese e conoscevamo bene la storia e i nostri personaggi. Sapevamo dove volevamo andare. La troupe era unita, e no, non c’è stato un grande impatto. In fondo siamo attori: siamo abituati a lavorare con vari registi, no?».

IL LIVE AID «La prima sequenza che abbiamo girato è stata proprio quella del Live Aid e Roger e Brian erano presenti, davanti a noi, per capire cosa non andasse. Abbiamo studiato bene il palco e abbiamo fatto la nostra ricostruzione. Brian poi è salito sul palco, è venuto da me e mi ha detto: «Va bene, ma non dimenticarti una cosa: io sono una rockstar». Mi ha fatto capire che, a parte la fisicità o l’imitazione dei gesti, è lo spirito ciò che dovevo mettere per riuscire a interpretare Brian May. L’anima che ha una vera rockstar».
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