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Drive My Car | Ryūsuke Hamaguchi e un road movie tra Hiroshima e Zio Vanja

Miglior sceneggiatura a Cannes, gli Oscar, i Golden Globe. Ma com’è il film?

Drive my Car
Hidetoshi Nishijima, il protagonista di Drive my Car

MILANO – Ryūsuke Hamaguchi è uno dei registi e sceneggiatori orientali più famosi e conosciuti in Europa, anche se solo da pochi anni si è dedicato completamente al cinema. Dopo molti anni nel documentario, a 37 anni cambia direzione e dirige il primo lungometraggio, Happy Hour, un film  di cinque ore, senza attori professionisti e che segue la storia di quattro donne di Kobe. Quest’anno, dopo aver firmato la sceneggiatura di Wife of a spy di Kiyoshi Kurosawa, Hamaguchi torna con due film che mostrano le sue finezze registiche e l’incredibile profondità delle sue sceneggiature. Il primo, Il gioco del destino e della fantasia, nato da un suo workshop, vincitore dell’Orso d’argento a Berlino, il secondo, Drive my car (lo trovate su CHILI) – premio a Cannes per la sceneggiatura, Golden Globe e Oscar come miglior film internazionale – è un toccante road movie lungo la città di Hiroshima.

Drive my Car
Una scena di Drive my Car

Yusuke è un attore e regista teatrale, Oto è una sceneggiatrice. Sono sposati da più di vent’anni e la loro relazione è incrinata da un passato che li perseguita. I loro abbracci sono freddi, i baci senza passione e fanno sesso solo per trovare l’ispirazione dei loro lavori, un amore che arde per i motivi sbagliati e che si regge su ricordi lontani. Quando Yusuke scopre i tradimenti di Oto non ha neanche il coraggio di dirglielo, forse per paura di far scoppiare una bolla da cui non riesce e non vuole uscire. Il loro lacerato rapporto continua fin quando Oto viene colpita da un’emorragia celebrale e muore sola nella loro casa, mentre Yusuke passa le giornate fuori perché ha paura di un confronto forse definitivo per la loro storia. Confronto che non arriverà mai.

Un altro momento del film

Dopo due anni, Yusuke non è riuscito ancora a superare la perdita della moglie e per riuscire a dare una svolta alla sua vita accetta la proposta del Festival di Hiroshima di mettere in scena il Zio Vanja di Cechov. Con la sua Saab 900 Turbo rossa si mette in viaggio per quest’avventura, ad Hiroshima chiede un alloggio lontano dal teatro perché ama guidare e ripassare i copioni ad alta voce grazie alle cassette registrate dalla moglie, ma la direzione del teatro lo obbliga per legge ad avere un autista. Conosce così Misaki, incaricata di guidare la macchina per tutto il periodo in cui dovrà lavorare al progetto, con cui però non riesce a legare perché entrambi sono riservati e non riescono ad aprirsi. Viaggio dopo viaggio, i due riusciranno a parlare, a distruggere i muri che hanno eretto e lasceranno affiorare segreti e confidenze per costruire un rapporto in grado di cambiarli per sempre.

La seconda vita di Drive my Car

Drive my car rispecchia perfettamente la particolare poetica del suo regista: la struttura portante della narrazione non è la trama, ma i personaggi che ruotano intorno ad essa e le relazioni che creano tra di loro. Hamaguchi scrive sempre storie semplici così da lasciare ampio respiro all’approfondimento dei temi che ha intenzione di trattare tramite l’uso delle parole e dei dialoghi. Drive my car è un film parlato quasi fino alla nausea, un film di infiniti viaggi in macchina che scavano ed esplorano l’anima dei protagonisti, lascia da parte il lato più tecnico e visivo per concentrarsi sui volti, continui campo-controcampo per costruire dialoghi in grado di decostruire e analizzare la complessità di un regista teatrale stanco, incastrato in un passato che non riesce ad affrontare e quella di un’autista capace solo di guidare.

Drive my Car
La Saab, protagonista assoluta del film.

I personaggi sono l’anima di Drive my car e tramite la loro evoluzione Hamaguchi riflette sul potere del linguaggio e di come sia capace di andare oltre i limiti della realtà, su cosa sia l’amore e la difficoltà di relazionarsi con le altre persone, di come sia complesso aprirsi e accettare le scelte prese nel proprio passato. Il fulcro del film è il rapporto tra Misaki e Yusuke, dove l’autista si intrufola e prende il comando della macchina del regista, unica zona di comfort dove ancora ricorda la moglie tramite le cassette. Questa invasione di spazio e di memoria costringe i due a passare molto tempo insieme così da instaurare un rapporto sempre più intenso e che sfocerà in un confronto che li costringerà ad aprirsi, a decifrarsi e affrontare ciò che hanno sotterrato per troppo tempo. Misaki troverà il coraggio di parlare del passato, di ripercorrere ciò che ha fatto e ammettere le sue colpe.

Tra passato e presente: Drive My Car.

Lo stesso succede a Yusuke, che nella sua Saab 900 Turbo rossa si sentirà invaso, spiato, ma questo lo costringerà ad affrontare ciò che ha sempre evitato, dovrà fare i conti con quello che è successo con Oto, capire il motivo per cui non l’ha affrontata e perché si è fatto dominare, superare una perdita improvvisa che non ha ancora superato e riuscirà a farlo anche con l’aiuto dello spettacolo che sta portando in scena. Uno Zio Vanja che conosce a memoria, quasi odia, ma che imparerà pian piano a capire nel profondo grazie alle infinite ore di prove, di letture del copione e l’evoluzione del rapporto con gli attori che ha scelto riuscirà a fare di Cechov la giusta medicina. No, Drive my car non è un film per tutti. Non solo perché dura tre ore, perché i titoli di testa appaiono dopo quaranta minuti o perché è un film denso con un ritmo particolare, ma soprattutto perché ha bisogno dello spettatore, pretende che chi entra in sala sia disposto ad immergersi in una storia, a prendere posto insieme ai protagonisti sulla Saab 900 Turbo rossa e ascoltare ciò che hanno da dire. Per vederlo e capirlo dovete essere disposti a diventare dei passeggeri silenziosi mentre le vite dei personaggi del film cambiano per sempre…

  • ORIENT EXPRESS | Il male non esiste, Hamaguchi e un film magistrale
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