ROMA – Sei anni dopo gli eventi di Deadpool 2, il buon Wade Wilson ha tolto per sempre i panni del Mercenario Chiacchierone e vive una vita più o meno tranquilla. Nel bel mezzo del suo compleanno però, la TVA – Time Variance Authority, l’organizzazione governativa precedentemente introdotta in Loki che ha il compito di monitorare gli eventi delle linee temporali, piomba dal nulla e lo assolda per una missione che sconvolgerà per sempre la storia e le sorti del MCU – Marvel Cinematic Universe. Con lui un vecchio amico: Wolverine. Deadpool & Wolverine, di Shawn Levy, con protagonista l’irresistibile coppia formata da Ryan Reynolds e Hugh Jackman – ma anche Morena Baccarin e le new-entry Emma Corrin e Matthew MacFadyen – parte precisamente da qui.

Un film a lungo rincorso seppur sotto altra forma. Perché nei piani originali, prima dell’acquisizione della 20th Century Fox da parte della Disney nel marzo 2019, un ipotetico Deadpool 3 avrebbe visto Wade guidare la squadra d’azione della X-Force. Team poi introdotto in Deadpool 2 in uno dei momenti comici più riusciti della saga (vi ricordate del cameo invisibile di Brad Pitt, vero?). E fu un bene, perché se chiedete a Reynolds vi dirà che la sua idea del cuore per il terzo capitolo avrebbe riguardato proprio un road movie con Wolverine in stile Rashomon, ovvero, di una storia raccontata da tre diverse prospettive. Quindi l’acquisizione da parte della Disney, con Reynolds che nell’ottobre 2019, in una riunione con Kevin Feige, lo inondò letteralmente di idee.

Tra le tante, un high-concept in stile Sundance con Deadpool e Dopinder in viaggio per l’America a bordo del suo taxi e un film musicale con Wolverine con tanto di numero di ballo impostato su I Guess That’s Why They Call It the Blues. E ovviamente quell’idea, con Wolverine, quella dei più punti di vista narrativi. Feige disse di no, ad entrambe. Oltre a non avere ancora chiaro in che modo introdurre gli X-Men nell’MCU, non voleva sporcare l’eredità di Logan – The Wolverine di James Mangold. Era perfetto quel film, negli equilibri, nel ritmo, nel sapore scenico a metà tra neo-western crepuscolare e rilettura del genere cinecomic. E poi citava apertamente Il Cavaliere della Valle Solitaria di George Stevens del 1953.

Poi i rallentamenti dovuti alla pandemia da COVID-19, David Leitch – regista di Deadpool 2 – costretto a farsi da parte per via dei conflitti di lavorazione con Bullet Train prima e l’ottenuto ingaggio per The Fall Guy poi nonostante il buon script di Wendy Molyneaux e Lizzie Molyneux-Logelin, la conferma del rating R, quindi lo stesso Reynolds che dopo le lavorazioni di Free Guy prima e The Adam Project poi, ha ritenuto Shawn Levy l’uomo giusto alla regia. Con lui salgono a bordo Paul Wernick e Rhett Reese – già firmatari dei due capitoli precedenti targati Fox – e il fumettista Zeb Wells recentemente autore di alcune riscritture su The Marvels e She-Hulk e head-writer della serie Marvel Zombies.

Nonostante tutto, però, mancava ancora una vera idea alla base di Deadpool 3. Levy e Reynolds sentivano che Wade meritasse un primo film MCU, una storia originale e profondamente radicata nell’universo narrativo, e non semplicemente che fosse il terzo capitolo di una saga cinefumettistica iniziata nel 2016. La svolta avvenne con il coinvolgimento di Jackman. Nonostante il ritiro, nonostante Logan, era chiaro a tutti che soltanto la presenza scenica di Wolverine avrebbe potuto dare quella giusta carica narrativa con cui risolvere da sé, automaticamente, tutti i problemi di trama. Anche solo per tutto ciò che Wolverine ha rappresentato per la storia del cinecomic con la saga degli X-Men. Mancava un cuore, insomma, e una storia senza forte cuore narrativo radicato al suo interno non ha dove andare.

Lì per lì, però, Feige sconsigliò vivamente a Jackman di tornare. Non voleva annullare Logan, a suo dire: «Il più grande finale della storia». Del cinecomic sicuramente. Ma l’idea di interpretare un altro Wolverine e non quel Wolverine, ha fatto la differenza per Jackman. Una variante di James Howlett con cui continuare a vivere in costume gialloblu e artigli di adamantio preservando comunque la legacy di Logan – The Wolverine. Era quella la priorità di Feige, Levy, Reynolds, l’executive Wendy Jacobson e tutto il team creativo (tra cui Simon Kinberg, produttore e sceneggiatore della saga degli X-Men). Anche dello stesso Mangold, contattato da Jackman, che fu sollevato all’idea che la sua opera sarebbe stata protetta in termini narrativi, ma anche (molto) entusiasta di rivedere Wolverine sul grande schermo.

Come tutti noi del resto, e parte proprio da Wolverine e da Logan la narrazione di Deadpool & Wolverine. Prima dissacrandone scherzosamente il climax come solo farebbe il Mercenario Chiacchierone, poi però celebrandone l’aura narrativa-e-valoriale di eroe bicentenario combattuto, romantico, selvaggio e tragico, ora rivelandocene le varianti direttamente dal suo passato fumettistico (e non solo), ora mostrandoci le conseguenze di quel finale. Ovvero: il giorno dopo i titoli di coda di Logan – The Wolverine, e quello dopo ancora. Su di esso e un Jackman intenso e straripante, Deadpool & Wolverine vede schiudersi tutto il suo tenero e fragile cuore narrativo riflettendo sul concetto di eroe e sull’esserlo nella vita di tutti i giorni, sul senso di sacrificio e l’ultimo respiro, sul dolore che blocca e quello che fa cambiare, migliorandoci.

Poi però c’è il marchio Deadpool e il suo folle e brillante mix di violenza, parolacce e meta-caos. Ecco, se vogliamo provare a cercare la prima vera grande innovazione offerta dall’arrivo di Deadpool nell’MCU è quella di aver dato a Reynolds e il suo alter-ego cinefumettistico una serie pressoché infinita di nuovi modi per rompere la quarta parete. Il risultato è un Wade Wilson/Ryan Reynolds completamente a briglia sciolta su qualsiasi topic possibile: dal (recente) passato narrativo alla Fox a clausole legali con la Disney sino alle scelte di casting (!!!). E poi omaggi, suggestioni, What If?, camei spiazzanti in una narrazione vivace, giocosa e spirituale, e la conferma che il Marvel Cinematic Universe può stupire ancora, anche arrivato a trentaquattro film e cinque Fasi.

Ma non parleremo di niente di tutto questo, né del modo in cui il film di Levy riesce a inserirsi con armonia nei delicati equilibri narrativi nella Saga del Multiverso (e dei Mutanti), e per una ragione ben precisa. Se c’è un modo per godere al meglio di Deadpool & Wolverine è proprio quello di andare al cinema a mente sgombra, liberi da rivelazioni, con il senso di meraviglia attivato e aspettandosi l’inaspettato. Come dovrebbe essere per ogni buon film, sempre…
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