ROMA – Bisogna dare uno sguardo ai dati francesi relativi agli incassi cinematografici, per comprendere quanto sia drammatica la situazione del cinema in Italia. Come riporta Le Monde, sono stati staccati quasi 900mila biglietti (!) durante la prima settimana di riapertura, nonostante la programmazione scarna di blockbuster e i posti in sala dimezzati. Anzi, grandi film come Onward e L’Uomo Invisibile sono solo al quarto e al quinto posto, preceduti da produzioni francesi. Da noi, nei giorni post-chiusura, al box office sono passate appena 38mila persone. Certo, la risposta a un tale scarto di cifre potrebbe essere relativa al fatto che in Francia le sale che hanno riaperto sono il 90%, mentre in Italia siamo intorno al 15%. E allora una domanda: perché da noi i cinema sono ancora chiusi?

La risposta potremmo stringarla così: le sale sono chiuse perché i film non escono, e i film non escono perché le sale sono chiuse. Ecco, un’impasse inaccettabile dopo cinque mesi di chiusura forzata, che (di)mostra quanto il cinema in Italia sia alquanto precario e, ancora, attaccato ad una stagionalità che lo fa essere uno degli ultimi mercati, per influenza e guadagni. Le distribuzioni, dal canto loro, affrontando una crisi in evoluzione costante; hanno optato per la distribuzione on-demand di alcuni titoli, riscontrando successo (vedi Trolls World Tour) e, almeno inizialmente, non credendo che la riapertura effettiva delle sale sarebbe stata – su carta – così repentina. Insomma, l’estate 2020 sarebbe stata all’insegna dello streaming e, soprattutto, delle tanto chiacchierate arene all’aperto.

Ma attenzione, i drive-in, i cinema sotto le stelle e quant’altro non possono in alcun modo sostituirsi ad una stagione cinematografica estiva che, per quanto precaria, avrebbe portato (il condizionale è d’obbligo anche qui, dato che siamo già a luglio) le sale a riaccendersi. Infatti, il rischio non scontato è che, dopo una chiusura così lunga, il grande pubblico si sia ormai abituato a nuovi modi di fruizione, appunto, come lo streaming. Ormai una certezza in fatto di costi-guadagni per le distribuzioni. Il processo di distribuzione parallela – sala e internet – era già allo studio e sarebbe stato introdotto gradualmente per una determinata fascia di film (piccole e medie produzioni, titoli indipendenti, qualche esperimento importante). Chiaro però che la crisi sanitaria ed economica abbia sensibilmente accelerato la tempistica, facendo ritrovare il settore audiovisivo impreparato.

E la distinzione tra pubblico e grande pubblico è importante in questa fase per capire l’andamento delle riaperture delle sale. Ad oggi, in Italia, la maggioranza dei pochi esercizi aperti (o in riapertura) sono quelli appartenenti a circuiti indipendenti, tra cinema di quartiere, d’essai o monosale. Le grandi catene (UCI, The Space) hanno riaperto solo in minima parte, per giunta non in modo omogeneo in tutte le regioni. Se consideriamo anche la programmazione scelta (tra le uniche novità I Miserabili, il resto un assembramento di titoli degli scorsi anni) lo scenario risulta decisamente preoccupante. Il motivo? Da grandi costi dovrebbero derivare grandi guadagni, provenienti appunto dalla maggioranza degli spettatori che sfruttano i multiplex come esperienza totale (cibarie, videogiochi, feste) e non esclusivamente finalizzata alla visione del film. Un business del genere è accantonato e quindi i timori di una riapertura sono di più di quanto non li abbia una sala indipendente, abituata – passateci il termine – a lavorare con numeri minori ma che raccolgono clienti affezionati e cinefili.

Per quanto riguarda la citata programmazione delle catene (tra gli indipendenti invece l’offerta è decisamente interessante), è chiaro che è influenzata dalla situazione USA che è, tutt’ora, in trasformazione, con i vari slittamenti di uscite (vedi Tenet). Certo è che la soluzione al problema non è continuare a tenere la serranda abbassata (una crisi che rischia di riversarsi sulle migliaia di figure lavorative delle sale e delle troupe, bloccate dalla difficoltà di far ripartire i set, non essendoci ancora uno sbocco certo), sfruttando invece il periodo per rafforzare la sinergia con le distribuzioni e mandare in sala tutti quei titoli italiani pronti (come sta facendo la Francia), invece che accalcarli tra un blockbuster e l’altro quando si tornerà, forse, a pieno regime. Infatti, pure qui il condizionale è necessario in mancanza di una strategia intelligente capace di far risollevare il settore prima che sia troppo tardi. Del resto, basterebbe crederci, e non solo a parole.
Da I Miserabili a Favolacce | Il box office della riapertura
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