MILANO – L’acqua che tutto lava e purifica. L’acqua che copre le colpe. L’acqua che bagna i sensi di colpa riportandoli alla superficie. E proprio l’acqua è una delle protagoniste principali di Creature di Dio, prodotto da A24 e firmato da due registe, Saela Davis e Anna Rose Holmer, che dopo il passaggio a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs l’anno scorso arriva ora al cinema grazie alla sempre attenta Academy Two. L’acqua è quella di una madre che trattiene la vita ma anche quella che la lascia andare, una madre divisa tra l’istinto primordiale di protezione verso il figlio e la necessità di trasparenza verso se stessa e verso la comunità di pescatori in cui tutto questo accade. Succede tutto qui, in un piccolo villaggio costiero irlandese di nome Cill Charthaigh, ovvero Kilcar, nel Donegal, un posto che conta 248 abitanti, due strade e poche case.
Quasi sembra non esista altro oltre quel mare se non quello raccontato, poco, dall’esperienza di Brian O’Hara (Paul Mescal, al primo ruolo dopo la nomination all’Oscar per Aftersun) tornato a casa dopo sette anni trascorsi in Australia, a far cosa nessuno lo sa. Nel villaggio lo davano quasi per scomparso e la madre, Ailenn (Emily Watson, straordinaria come sempre), è l’unica capace di accoglierlo con stupore, prima, e con lo sguardo pieno di amore dopo, una donna che in un attimo cancella il dolore dell’assenza. Il resto della famiglia – dal padre Con (Declan Conlon) alla sorella Erin (Toni O’Rourke) – non mostra segni di particolare felicità per il ritorno di un figliol prodigo che presto capiremo che di divino non ha proprio nulla. Un evento traumatico scuote la piccola comunità: la morte di un ragazzo annegato. E non poteva essere altrimenti, se sale la marea nessuno può tornare vivo per un’usanza del luogo che vuole che nessuno impari a nuotare.
Il motivo? Impedire ai bambini di mettere a rischio la propria vita per salvarne un’altra. E così, quando tutti si ritrovano all’ennesima veglia funebre di un ragazzo riportato indietro senza vita dall’acqua, emerge la fotografia di una comunità compatta solo nella tragedia mentre di giorno la divisione è netta: le donne lavorano, gli uomini si spalleggiano nei pub. Ed una sera proprio all’uscita di uno di questi locali accade il secondo evento che scuote la comunità, la violenza messa in atto da Brian nei confronti di Sarah (Aisling Franciosi), una ragazza con cui era solito uscire prima della sua partenza. La fotografia cupa e inquieta del canadese Chayse Irvin – che era il direttore della fotogafia di Blonde – fa emergere ombre anche durante le scene girate di giorno, mettendo in risalto gli ambienti domestici e i primi piani, illuminando velatamente la piccola fabbrica dove si puliscono le ostriche e dove l’umidità trasuda dalle divise delle operaie.
Creature di Dio ruota quasi interamente attorno alla figura di Ailenn e alla prova della Watson – alle prese con altre onde del destino a ventisette anni da quelle di Lars von Trier – che durante buona parte del film ha gli occhi di chi è abituato a sacrificare la propria vita per gli altri, che sia il suocero, la figlia, il nipote o – primo fra tutti – suo figlio. Per lui va anche oltre, per lui ruba sul posto di lavoro, per lui nega l’evidenza, per lui mente anche quando sa del terribile atto di violenza nei confronti di Sarah. Gli occhi di Ailenn sono quelli di una donna rassegnata che non chiede di più di quello che la vita le ha destinato. Almeno fino a quando la sua moralità emerge proprio come si emerge dall’acqua all’improvviso dopo un tuffo con la stessa forza, quell’acqua che prima inghiotte e poi purifica. Sarà solo allora che troverà il coraggio di accettare e di dire finalmente la verità.
Dopo il magnifico The Quiet Girl (ve ne avevamo parlato qui) e le nomination de Gli spiriti dell’isola, senza dimenticare il lavoro che sta facendo una documentarista come Sinead O’Shea (e il suo A Mother Brings Her Son to Be Shot qui ritorna con un senso) ancora una volta l’Irlanda dimostra una scena fertile con un film che evoca altro cinema e non è solo visione, ma anche e soprattutto riflessione su identità, famiglia, colpa e patriarcato. La colonna sonora di Danny Bensi e Saunder Jurriaans (potete sentire qui il tema) fa il resto e amplifica la storia di una madre e un figlio condannati ad una terra che non hanno scelto, ma che devono accettare: «Abbandoni una terra solo per scoprire che non te ne libererai mai…».
- OPINIONI | Paul Mescal e un miracolo chiamato Aftersun
- VIDEO | Qui il trailer di Creature di Dio:
Lascia un Commento