ROMA – Fino a quando ci saranno esordi come quello firmato da Charlotte Wells con Aftersun, il cinema potrà dirsi salvo. Poco più di un’ora e mezza in cui nessuna inquadratura e nessun dialogo risultano futili o marginali. Perché tutto in Aftersun – lo trovate in digitale su Mubi – è permeato di una naturalezza di rara intensità. Una storia dai contorni autobiografici nata sul finire della scuola di cinema mentre la regista scozzese, classe 1987, sfogliava un vecchio album di famiglia con delle fotografie di una vacanza ormai lontana. Quelle immagini sono diventate l’ispirazione per una sceneggiatura capace di mettere in scena un racconto di formazione intrecciato con il ritratto intimo di un piccolo nucleo familiare composto da una bambina e suo padre.
Sophie (l’esordiente Frankie Corio) e Calum (Paul Mescal). Undici anni lei, trentuno lui. Insieme, sul finire degli anni Novanta, trascorrono una vacanza in un economico resort turco prima che la ragazzina torni a casa dalla madre e riprenda la scuola. Si vogliono bene, sono complici, si divertono, parlano, litigano, ridono e documentano ogni tappa della loro vacanza con una piccola videocamera e una macchina fotografica. Quel materiale, molti anni dopo, servirà ad una Sophie ormai adulta per tentare, scrutando tra quelle immagini, di conoscere meglio il padre tanto amato ma del quale non riusciva a cogliere appieno l’essenza. Ci pensa Charlotte Wells a farlo per noi spettatori, mostrandoci frammenti in cui i sorrisi lasciano spazio ad un pianto nascosto o a dei piccoli blackout di malinconia negli occhi di un giovane uomo che prova con tutte le sue forze ad essere un buon padre consapevole dei propri limiti, umani ed economici.
In questo Paul Mescal è assolutamente straordinario nel tratteggiare una figura paterna spesso inedita sul grande schermo ma che il cinema contemporaneo sta finalmente sdoganando. Il suo Calum è tenero e premuroso ma anche fragile, spaventato e in lotta con se stesso. A fargli da spalla Frankie Corio in un debutto davvero promettente che regala alla sua Sophie una carica irresistibile e rende la coppia di padre e figlia del tutto credibile e colma di spontaneità. Prodotto, tra gli altri, da Barry Jenkins, Aftersun è un debutto al lungometraggio memorabile. E lo è per svariati motivi. Tra questi la capacità della Wells di creare un racconto apparentemente sereno nel quale, fin dalla prima inquadratura, si avverte la presenza di un’ombra, di un’interferenza o di un segreto da svelare.
Ricco di dettagli, primi piani, immagini riflesse e proiettate, Aftersun è anche un film dalla regia sottilissima e in cui Calum spesso viene ripreso di spalle o non del tutto al centro della scena. L’impossibilità di Sophie di decifrarlo passa anche attraverso queste scelte registiche (il film è girato in pellicola) che la fotografia meravigliosa di Greg Oke – giocata sul contrasto e satura come a voler replicare le foto e i filmini degli anni Novanta – sostiene. E poi c’è la musica, quella delle hit tormentone come la Macarena, ma anche di brani come Under Pressure dei Queen (protagonista di una sequenza importante) o Tender dei Blur che, nel suo ritornello ripetuto all’infinito e deformato sul finire, sintetizza quella linea buia che attraversa il film. Aftersun è una riflessione potentissima sulla memoria e la sua continua reinvenzione, un film nostalgico e pieno zeppo d’amore, un tentativo di aggrapparsi ai ricordi, un sogno ad occhi aperti.
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La video intervista a Charlotte Wells è a cura di Manuela Santacatterina:
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