ROMA – Il cinema di genere, il cinema popolare, e la grande commedia all’italiana sono le tre colonne portanti che sorreggono l’ideale filmico di Massimiliano Bruno, probabilmente il più pop tra i registi (e tra gli autori) italici. Aggettivo ancien, lo sappiamo, che rimanda ad un certo lessico, ma quanto mai adatto vista l’occasione. Già perché questa volta la macchina del tempo di Bruno (arrivata al terzo giro), riporta “la banda” molto indietro con gli anni, addirittura fino alla Seconda Guerra Mondiale. Nonostante la cornice si scherza, è ovvio, ma C’Era una Volta il Crimine potrebbe essere il migliore della saga proprio perché alza l’asticella, e come le tanto decantate commedie che fanno da luce ha una sua accennata sfumatura dolente. In particolare in un finale – che non vi riveliamo – in cui si sottolinea l’assurdità della guerra.

La storia? Semplice: lo spaccone Moreno (Marco Giallini) e il timoroso Giuseppe (Gian Marco Tognazzi) ingaggiano Claudio Ranieri (Giampaolo Morelli), professore di storia, per una sfida impossibile: rubare la Gioconda ai francesi. Sono una banda di simpatici ciarlatani, e il viaggio va decisamente peggio del previsto: mentre fuggono col quadro i tre sono costretti a rifugiarsi a casa di Adele (Carolina Crescentini), la giovane nonna di Moreno, dove l’uomo incontra anche sua madre Monica da bambina. Quando la piccola finisce nelle mani dei nazisti i tre sono obbligati ad un cambio di programma: se vogliono tornare nel presente dovranno prima salvarla, attraversando in lungo e largo l’Italia devastata dalla guerra. Ad aiutarli – da remoto – Gianfranco (Massimiliano Bruno) e Lorella (Giulia Bevilacqua).

Mestizia a parte – è un film comico, ci mancherebbe! – C’era una Volta il Crimine di Bruno mantiene l’assetto vincente dei precedenti film rivedendo, però, l’approccio ridereccio: sviluppa la messa in scena come se fosse un B-Movie Anni Settanta, e intanto eleva il carisma dei protagonisti che, è innegabile, hanno un’alchimia paragonabile a quella tipica dei compagni di banco. Così funziona bene l’entrata in scena di Giampaolo Morelli, che conosce marcatamente bene le regole dei tempi comici, e funziona bene la presenza di Carolina Crescentini (qui la nostra intervista), figura chiave di un viaggio nel tempo in cui la destinazione finale è un’epoca in cui la libertà non è una cosa scontata.

Naturalmente, nell’ora e quaranta di durata, non tutto viaggia a pieno regime (i siparietti slegati sono un vizio che pare non possa essere sradicato dai nostri film comici…), eppure C’era una Volta il Crimine, per merito della passione cinefila di Bruno, e per merito di un cast cameratesco e affiatato, finisce per essere l’eccezione che conferma la regola. Con quella fatidica domanda a cui possiamo dare un oggettiva risposta: chi l’ha detto che i sequel sono peggio degli originali? Mito sfatato da Max Bruno e dalla sua sgangherata armata di cialtroni (no, Brancaleone non lo scomodiamo…) che, a modo loro, sottolineano il mito dei viaggi nel tempo. Ovvero quel sogno utopico che lega saldamente il rapporto tra cinema e pubblico.
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Massimiliano Bruno e Giampaolo Morelli raccontano C’era una Volta il Crimine:
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