ROMA – La storia, si sa, è arcinota, ma la rispolveriamo: nel 1996, il chitarrista americano Ry Cooder fu invitato a L’Avana da Nick Gold, produttore americano di musica etnica, per registrare una sessione in cui due musicisti africani del Mali avrebbero collaborato con alcuni musicisti cubani. All’arrivo di Cooder – dal Messico per evitare l’embargo commerciale in corso da parte degli Stati Uniti contro Cuba – saltò fuori che i musicisti africani non erano riusciti ad ottenere il visto e finirono con il non potersi recare a L’Avana. In cerca di una soluzione nell’immediato, Cooder e Gold cambiarono i loro piani originari e decisero quindi di registrare un album di musica son cubana con alcuni musicisti locali. Il viaggio del Buena Vista Social Club parte da qui, per caso.

Oltre ai già coinvolti Orlando Cachaito López, Eliades Ochoa e Juan de Marcos González, Cooder andò alla ricerca di altri musicisti cubani per assemblare un mega-gruppo di tutto rispetto. E quindi ecco Manuel Licea, Rubén González, Compay Segundo, Ibrahim Ferrer e Omara Portuondo per citarne alcuni. In appena tre giorni, Cooder organizzò un ensemble musicale pazzesco dove, nonostante le barriere linguistiche (chi parlava solo spagnolo, chi solo inglese), non ci volle poi molto poco prima che i membri del Buena Vista Social Club riuscissero a trovare l’intesa. Del resto, per usare le parole dello stesso Cooder: «I musicisti si capiscono con mezzi diversi dal parlare». In appena sei giorni, il Buena Vista Social Club registrarono quattordici brani tra cui Chan Chan, composta da Segundo negli anni Ottanta.

Un brano son di quattro accordi che si conclude con un’interpretazione personale de La Bayamesa, una tradizionale canzone patriottica cubana. Un capolavoro assoluto definito da Cooder come: «Il biglietto da visita del Buena Vista Social Club». E poi De camino a la verdera, di Ibrahim Ferrer, El cuarto de Tula di Sergio González Siaba, cantato da Eliades Ochoa, con Ibrahim Ferrer e Manuel Puntillita Licea, Candela, di Faustino Oramas, El Guayabero, di Ibrahim Ferrer, pieno di improvvisazioni e allusioni sessuali e la struggente Veinte años, un bolero di Omara Portuondo con Segundo come seconda voce. Ma sono solo alcune delle poesie musicali incise dal Buena Vista Social Club che nel 1997 si impose al grande pubblico come un successo internazionale e sensazionale.

L’anno successivo, in primavera, Cooder decise di tornare a Cuba per registrare un nuovo album con il mega-gruppo cubano. Con lui Wim Wenders, armato di Betacam digitale e mini-DV, con cui Cooder aveva già collaborato per la colonna sonora di Paris, Texas e Crimini invisibili, pronto ad un’esperienza filmica che sapeva perfettamente che gli avrebbe cambiato la vita: «Sono andato a L’Avana per girare Buena Vista Social Club, un posto dove non ero mai stato prima. Tutto ciò che conoscevo era la musica che questi vecchi musicisti avevano prodotto. Una musica elettrizzante, inebriante, contagiosa. Una volta che ho visto e filmato L’Avana, ho capito cosa c’era di così speciale in questa musica: era uscita da questa città. Quella musica era il sangue di questa città».

Musica, quella del Buena Vista Social Club, come appartenenza identitaria, tradizione storica e rappresentazione del luogo: «Il luogo era trasceso nel suono, aveva trovato un’altra forma di esistenza in queste canzoni. Il senso di identità di questi musicisti, l’incredibile amore per il proprio posto, che aveva procurato loro tanto dolore e tanta sofferenza, si era rivelato anche la loro forza e la loro grazia salvifica. Anche la musica, grande e commovente, non avviene senza un senso del luogo. Ha bisogno di radici da cui attingere. Ha bisogno di storia per alimentarla. A volte, naturalmente, l’assenza di un luogo, l’anelito per esso, l’esilio da esso, possono produrre le stesse radici. Non ci sarebbe blues senza il Sud americano, senza il Continente d’origine perduto: l’Africa».

E quindi il prodotto filmico. Quel Buena Vista Social Club inciso di confessioni personali, percorsi musicali e racconti di vita vissuta che s’intrecciano in uno splendido affresco dove la macchina da presa di Wenders, con movimenti fluidi e avvolgenti, cattura – in immagini grezze e sporche in luce naturale – il cristallino talento, i sogni, i desideri, le superstizioni e l’insopprimibile gioia di vivere dei suoi straordinari musicisti. Buena Vista Social Club, di nuovo al cinema dal 30 maggio con Distribuzione Il Cinema Ritrovato in occasione del venticinquennale del film.
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