ROMA – Let Me Entertain You era il titolo del quinto singolo dell’album di debutto di Robbie Williams del 1997. Quel Life thru a Lens rievocato nell’immagine scelta nella locandina ufficiale e che si sposa bene con la ratio filmica dell’insolito ma affascinante biopic di Michael Gracey. È di un nuovo inizio che parliamo in fondo, un esordio vero e proprio in un medium differente, e poi perché si tratta proprio di guardare a una vita – la vita di Robbie Williams – attraverso la lente cinematografica. Avrebbe funzionato perché prima di tutto è un’opera trascinante Better Man: chiassosa, strabordante, folle, piena di cortocircuiti narrativi e vitali. Ma soprattutto tremendamente divertente e che fa di tutto per intrattenerci.

Perché a nessuno se non a Williams e Gracey sarebbe venuto in mente di raccontare la vita di una delle più grandi superstar di tutti i tempi raffigurandola come una scimmia. E questo ci porta al vero titolo scelto e che a visione ultimata – voi con noi a partire dall’1 gennaio con Lucky Red – concorderete essere l’unico che funziona veramente. Non poteva essere né Eternity, né Feel, e nemmeno She’s The One. Forse Let Love Be Your Energy o Something Beautiful, o magari ancora Back for Good per rievocare gli inizi con i Take That (che nel film ci sono e fanno tanto rumore con la loro presenza scenica). Quindi Better Man e il motivo, come potete immaginare, sta proprio nella musica.

Better Man è, infatti, il titolo dell’ultimo singolo estratto dal suo fortunato (e bellissimo) terzo album da solista: Sing When You’re Winning, del 2000. Parliamo dell’album di Rock DJ e Supreme – e di relativi (magnifici) videoclip – per intenderci, quello che vide Williams abbandonare il britpop per abbracciare a piene mani la dance pop mista al soft rock che lo ha reso poi la superstar che oggi amiamo tutti. La particolarità di questo singolo, però, è che fu distribuito soltanto in Oceania e nei paesi dell’America Latina. «Send someone to love me. I need to rest in arms. Keep me safe from harm» sono i primi versi del brano (qui) che materializzano, ventitré anni dopo, tutto il cuore narrativo del film.

L’opera di Gracey è fatta a immagine e somiglianza del carattere di Williams: talento strabordante, carisma e tanta musica. Ma anche ferite, fragilità e una complessità caratteriale ricca di contraddizioni psicologiche e figlia di un rapporto caotico con la figura paterna che l’ha visto uscire dall’ombra della provincia britannica di Stoke-on-Trent per aprirsi al mondo con il coraggio di chi non ha voluto mai guardarsi indietro. Per farlo, Robert si è dovuto calare nei panni di Robbie Williams trasformando il dolore e la ricerca di amore e approvazione, in catastrofici eccessi autodistruttivi che solo il genio creativo ha saputo deviare da un’altrimenti inevitabile depressione senza via d’uscita. Da qui la scelta della curiosa morfologia scimmiesca in motion capture portata magnificamente in scena dal bravo Jonno Davies a cui l’occhio si abitua nel giro di pochi minuti.

Si è sempre visto così Robbie Williams, come uno scimpanzé, meno evoluto rispetto agli altri esseri umani. Rotto, per dirlo in altri termini, con un vuoto che si può colmare solo a tratti. «You can’t manufacture a miracle» recita il primo verso di Something Beautiful, ed è vero. Ma l’illusione cinematografica di Gracey arriva là dove la vita si interrompe rielaborando, al contempo, il concetto stesso di biopic musicale patinato per restituircelo in immagini sporche e graffianti che alla celebrazione univoca preferiscono l’umanità e il realismo nella lente allegorica primate. È tutto meno che un film banale Better Man e molto probabilmente il miglior film possibile con cui iniziare l’anno nel buio della sala cinematografica. Lasciatevi meravigliare!
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