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Lo Straniero della Valle Oscura | Quando il western viaggia tra le nevi dell’Austria

Diretto da Andreas Prochaska, l’inusuale location (per un western) è il punto forte in un film da scoprire

MILANO – Avreste mai detto che qualcuno avrebbe potuto girare un film western ambientato sulle montagne austriache appartenenti all’Impero Asburgico del XIX secolo? Ebbene, il regista austriaco Andreas Prochaska – dotato di notevole coraggio, non c’è dubbio – lo ha fatto nel 2014 con Lo Straniero della Valle Oscura (in streaming su Prime Video) ottenendo un buon risultato, consegnandoci un film con qualche difetto, ma sicuramente dai risvolti interessanti. Già Sergio Corbucci, nel 1967, aveva avuto l’audacia di allontanarsi dalle ambientazioni asciutte dei canyon e dei deserti roventi, in favore di quelle Alpi italiche imbiancate che utilizzò come scenografia del suo Il Grande Silenzio.

Clemens Schick e Tobias Moretti nel film.

Quella volta, però, si trattava solo di un artificio registico, perché la storia era ambientata negli Stati Uniti. Con Prochaska, invece, siamo in Austria anche all’interno della narrazione, in un microcosmo ostile come spesso è il western, ma entro i confini di un Impero Austro-ungarico frammentato, in cui il potere è de facto gestito da piccoli principi e casate varie, talvolta in irraggiungibili centri montani di poche anime, in cui l’applicazione della legge si lega più alle antiche e barbare tradizioni medievali, che alle più recenti concessioni della monarchia costituzionale (siamo nella seconda metà dell’Ottocento).

Il villaggio.

Un giorno, nella valle arriva uno straniero dal passato oscuro, un giovane (interpretato da Sam Riley) che parla sì la lingua locale, ma che dice di essere stato in America, dove oltre ad avere visto per davvero gli indiani ha evidentemente imparato a recitare la parte del cavaliere solitario e ombroso, con un atteggiamento che intriga le signorine del posto, ma soprattutto attira sul nostro Greider (questo il nome dello straniero) le antipatie e i sospetti dei fratelli Brenner, i figli spavaldi e insolenti del vecchio despota, appartenenti a una stirpe che, da tempo, in paese fa il bello e il cattivo tempo.

Landscape.

La prima parte de Lo Straniero Della Valle Oscura serve a mostrare la vita quotidiana della comunità, vista attraverso gli occhi dello straniero che, fingendosi un fotografo, è riuscito a far tollerare la sua presenza e farsi piazzare a casa di una vedova e di sua figlia, prima di continuare il misterioso viaggio. Non sarà affatto una passeggiata: l’inverno è durissimo, i Brenner si dimostrano ben peggio di quello che sembravano all’inizio e, oltre alla scaramucce da bar in cui i temuti fratelli hanno sempre la meglio, inizia a dipanarsi una strana storia intorno all’imminente matrimonio della ragazza che sta ospitando lo straniero (Paula Beer, apprezzata in Frantz di Ozon).

Una scena del film.

E tra una vessazione e l’altra, un flashback e una cavalcata nel bosco, i piani dello straniero si fanno sempre più espliciti per lo spettatore, trasformando il film nel revenge movie la cui azione occupa tutta la seconda parte della visione, molto più animata e tesa rispetto alla prima. Del western viene utilizzata tutta la grammatica, traendo spunto dalle variazioni italiane e tedesche (Anni ’60-’70) sul tema: l’uso dei cavalli, la centralità delle armi, l’assenza di uno Stato intrinsecamente morale, la vendetta come motore dell’azione, lo sconosciuto solitario che agisce per suo conto (vedi Clint Eastwood), il ruolo marginale e unicamente di debole-da-difendere affidato alle donne.

Sam Riley e Paula Beer in una scena del film.

Il soggetto west, cioè lo straniero, mantiene tuttavia il ruolo di liberatore (e qui si torna al western classico): è tecnologicamente più avanzato – utilizza una carabina Winchester, passata alla storia come the gun that won the west– e maggiormente civilizzato rispetto a quella comunità oscura e medievale, e la coincidenza tra civiltà e tecnica è un altro preconcetto tipico dell’atteggiamento illuminista-positivista della grande epopea western.

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Moretti in un’altra scena.

Per Prochaska, all’interno della stessa Europa, in un Paese in cui i sovrani già si erano definiti “illuminati”, sopravvivevano delle sacche di inciviltà e tradizioni inaccettabili per l’età tardo-moderna; l’eroe civilizzatore, esportatore di democrazia e di moralità, giunge da lontano per vendicarsi di qualcosa, ma anche per effettuare (con la forza e l’astuzia) il passaggio all’era contemporanea, in cui non c’è spazio per il razzismo, per la sopraffazione e per ritualità antiche, odiose e superate.

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Un altro momento del film.

E qui potrebbe esserci una velata – ma neanche tanto – critica all’Austria di oggi, anzi, del 2014, in cui evidentemente per il regista sussistono ancora quelle chiusure nei confronti dello straniero, visto sempre come un nemico da umiliare e di cui sospettare, senza vedere quello che succede in casa propria, coperti dietro il velo di parole come tradizione, usanza o consuetudine la cui accezione positiva è spesso abusata creando atteggiamenti di difesa acritica.

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