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Padri e figli, ironia e lacrime: Endgame, la lezione della Marvel e il coraggio dei fratelli Russo

Poteva essere un blockbuster senz’anima, invece è il film di cui avevamo bisogno. Ecco perché resterà

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La nostra cover speciale dedicata ad Avengers: Endgame
SPOILER ALERT!

MILANO – Oltre la sindrome da spoiler, oltre i numeri del botteghino, oltre le news forzate e la battaglia conclusiva, alla fine di Avengers: Endgame rimane altro. Seduti dentro al cinema, osservando gli interminabili titoli di coda, in testa rimangono volti e dialoghi, ma soprattutto l’intuizione principale dei fratelli Russo, che già vi avevamo raccontato nella nostra recensione: gli eroi sono vulnerabili, anime fragili che – anche se cercano di non dirlo – si portano sulle spalle un fardello pesante che si chiama vita. Lo confessa capitan America in uno dei passaggi più umani del film, lo rivelano le espressioni dubbiose di Tony Stark, lo ammette lo sgomento negli occhi di Thor davanti a quel nome.

La bellezza di Endgame sta nel suo coraggio, in quell’incipit lento che, senza fretta, cattura e porta via, dentro un’avventura che collega e ricollega frammenti di tutto il Marvel Cinematic Universe. Adesso possiamo dirlo: c’era il rischio di un finale che volesse accontentare tutti, che si preoccupasse più del redditizio futuro MCU che del presente. Invece no. I fratelli Russo hanno voluto fare i conti con il tempo e minuto dopo minuto Endgame diventa tante cose, al punto che ognuno può vederci dentro riflesso quello che ha addosso: gli amici piangeranno per gli amici, gli innamorati per le coppie che non saranno, i padri e le madri per quei continui rimandi ai figli che attraversa tutte le tre ore del film.

Padri e figli, madri e sorelle, parole mai dette e rapporti lasciati senza fine: Thor e le lacrime per sua madre, Tony e la piccola Morgan con un pensiero a nonno Howard, Occhio di Falco e quel guantone portato via (scena meravigliosa), addirittura Thanos e le figlie, senza dimenticare la corsa di Ant-Man verso casa per scoprire la verità. Dramma puro, lacrime e addii inattesi alternati a ironia sferzante, battute a raffica e un livello di complicità notevole: Tony, Cap e Hulk sembrano Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis nel Rat Pack, si cercano, si infastidiscono, si capiscono. Non sono amici perché sono eroi, sono amici perché sono simili.

Cosa rimane dunque alla fine dei titoli di coda di Endgame? Tanto, dicevamo, perché alla fine i fratelli Russo hanno fatto un miracolo tenendo insieme decine di personaggi e almeno cinque trame differenti riuscendo però a dare un senso compiuto all’operazione. Nonostante la colossale operazione marketing. L’ultima vera domanda da farsi, piuttosto, nel buio della sala, è un’altra: come si procede poi? Come si va avanti da qui? Come può proseguire un’esperienza come quella di Endgame? Difficile da dirsi.

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