TORONTO – «Non voglio fare quello cool, ma ho un’infezione all’occhio e quindi tengo gli occhiali da sole anche al chiuso». Esordisce così Antonio Banderas qui a Toronto, dove presenta due film, Dolor y gloria di Pedro Almodóvar – per cui ha vinto la Palma d’oro a Cannes – e The Laundromat, dal 18 ottobre su Netflix (appena presentato a Venezia da Meryl Streep e Gary Oldman). Alla vigilia del sessantesimo compleanno, la star di Zorro si prepara ad un cambiamento epocale, il ritorno “a casa” a Malaga e l’apertura del Teatro del Soho Caixabank che ha acquistato e che debutta il 14 novembre con il classico di Broadway, A Chorus Line.
IL DEBUTTO – «Il mio primo e più grande amore resta il teatro. Ho iniziato così in una piccola compagnia spagnola che per lo più metteva in scena testi d’impegno sociale, di resistenza e di contrapposizione al clima conservatore seguito al regime di Franco. Una volta, quando dopo un mio monologo si sono accese le luci, mi sono ritrovato faccia a terra e con le manette, arrestato assieme ai miei colleghi attori da una squadra di poliziotti che ci hanno trascinato via nei costumi di scena e con la faccia dipinta di bianco. Arrivati al distretto ho trovato mio padre, poliziotto anche lui, che mi guardava con una faccia allibita. Grazie a lui siamo stati rimessi in libertà ma per tornare a piedi a teatro così conciati ci siamo dovuti subire gli sguardi sgomenti dei passanti per strada».
IL SODALIZIO CON ALMODÓVAR – «Non avevo la minima idea di chi fosse. Un giorno, dopo uno spettacolo teatrale, si è seduto al tavolo del bar dove mi trovavo con i colleghi. Ricordo la sua scintillante borsa rossa e quell’aria originale, ma non si è presentato, mi ha solo fatto i complimenti e mi ha detto: “Hai una faccia romantica, dovresti pensare al cinema”. Ho chiesto al mio amico chi fosse e mi ha risposto: “Si chiama Almodóvar, ma non farci caso. Ha appena fatto un film ma dubito che gliene faranno fare un altro”. Per fortuna si sbagliava…»
AL TAVOLO DI SPIELBERG – «Sono arrivato tardi negli Stati Uniti, avevo 31 anni e imparavo i copioni senza sapere l’inglese, a memoria e in maniera fonetica. Mi sentivo un perfetto imbecille perché non riuscivo ad intavolare conversazioni di spessore. Per Philadelphia mi sono ritrovato in una situazione sui generis e non solo perché cast e troupe insieme marciavano per le strade della città per i diritti degli omosessuali e neppure perché all’epoca il tema era tabù, ma per tutta una serie di situazioni che ne sono scaturite. Tom Hanks vinse l’Oscar e all’after party di Elton John ero al suo tavolo con lui, Bruce Springsteen e Steven Spielberg. Ad un certo punto il regista si gira e mi fa: “Ma tu lo conosci Zorro?”. Ecco, il giorno dopo ero nel suo studio a fare il provino e ad ottenere la parte per La maschera di Zorro».
IL TREDICESIMO GUERRIERO – «Ci sono film come questo che non potrò mai dimenticare. Certo, al box office non ha fatto molto, ma con il tempo è diventato un cult, anticipando kolossal come Il signore degli anelli. Ma i miei ricordi non sono legati a niente di tutto questo: avevo finito le riprese di Zorro due giorni prima e mi sono calato subito nel nuovo progetto sottovalutando la mia preparazione fisica. In una scena in un fiume, con un freddo cane e un’armatura pesantissima, dovevo sollevare ripetutamente qualcuno dall’acqua.
Al quarto ciak ho sentito un rumore alla schiena. Per farla breve è dovuto venire a prendermi un elicottero per portarmi in ospedale perché dopo cinque minuti non riuscivo più a muovermi. Per tre mesi mi hanno riempito di punture di antidolorifici mandando a chiamare da Los Angeles tutti i luminari del campo e sottoponendomi a sedute in cui mi stiravano e mi allungavano in maniera assurda e questo solo per farmi camminare. Finito il set ho trascorso tre mesi a letto…»
TEATRO A MALAGA – «Dopo aver avuto un infarto ho rimesso a posto le mie priorità e ho pensato ad un modo per spendere i miei soldi capace di rendermi felice e fare la differenza così ho deciso di formare 600 giovani nella mia città, Malaga, e di aprire un teatro. Non immaginavo minimamente le difficoltà che avrebbe comportato, ma credo ne sia valsa la pena perché ho trascurato il palco troppo a lungo e non vedo l’ora di tornarci. In pratica il mio aereo atterra alle 4 di mattina e io alle 10 sono già in sala prove. Ho meno di due mesi per portare A Chorus line in scena e sento la stessa emozione della prima volta».
- Qui Banderas con Almodovar a Toronto per Dolor y Gloria.
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