VENEZIA «Oggi? Oggi ho i capelli più bianchi. Lo sento che il tempo passa». Accolto dalla Mostra in una celebrazione che gli assegna (giustamente) il Leone d’Oro alla carriera a poche settimane dal suo settantesimo compleannio, Pedro Almodóvar nel suo dialogo con la stampa inizia a cucire passato e presente, raccontando non solo il suo cinema, ma anche la Spagna, le influenze, i ricordi di una vita. E così il Lido lo riabbraccia, a trentasei anni di distanza da un’estate lontana, quella del 1983, la sua prima volta qui con L’indiscreto fascino del peccato, film talmente scomodo che, come ricorda lui, lo misero in programma a mezzanotte.
GLI ANNI OTTANTA – «Qui al Lido c’è stato il mio battesimo, perché allora partecipare ad un festival fu qualcosa di miracoloso. Ero giovane, non avevo nemmeno trentaquattro anni, e al presidente, Gian Luigi Rondi, all’epoca, non era piaciuto un granché il mio film. Le dichiarazioni mie e di Rondi, poi, arrivarono alla stampa, e tutto questo suscitò empatia, facendo apprezzare il film, facendo sì che poi fosse accettato. Ne ho un bel ricordo di quella Mostra».
IL RITORNO – «Sono tornato a Venezia nel 1988, con Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Quell’edizione era una festa costante, la conferenza sembrava un teatro, una commedia. Vincemmo il premio per la miglior sceneggiatura. Ero orgoglioso di quel film, e le attrici, Carmen Maura, Julieta Serrano, Rossy de Palma furono capaci di dare una luce ultra-moderna alla Spagna».
IL LEONE OGGI – «Dolor Y Gloria? Mi appartiene così tanto che provo pudore nel parlarne. Anche perché della gloria non mi piace vantarmi, ma il Leone alla Carriera racchiude un’emozione speciale, perché il tempo è un fattore speciale. Ricordo che nel 1988 c’era Sergio Leone e Lina Wertmuller, li ho incontrati per strada, sentii loro amare il film, la loro comprensione nel accettare un film come Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Del resto, rappresentava un atto di giustizia politica».
LO STILE – «Di cosa parlo al cinema? Quando ho iniziato non sapevo cosa fosse lo stile, la mia unica preoccupazione era far capire e comprendere la storia. Dopo il primo Venezia, il mio debutto internazionale, ho cominciato ad avere un certo budget, ma non mi sono mai preoccupato di avere uno stile che fosse mio».
LA SPAGNA – «Il potere che ho, dietro la macchina da presa, mi ha permesso di rappresentare la vita, e come regista ho la responsabilità di parlare dei miei personaggi, dandogli libertà. Chiunque essi siano. La cosa che mi ha appassionato di più in Spagna, agli inizi, era il cambiamento che c’era, che si viveva. La notte madrilena per me è stata una sorta di università. Lì, in quegli anni, iniziava una democrazia vera e reale».
- Da Carne tremula a Dolor y Gloria, (ri)scoprite Almodovar su CHILI.
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