VENEZIA – «C’è molta solitudine nello spazio, quindi diciamo pure che preferisco vivere immerso nella natura». Con l’immancabile coppola in testa e uno stile sempre impeccabile, Brad Pitt è arrivato al Lido per portare in concorso Ad Astra, nuovo film di un autore sempre originale come James Gray, a tre anni da Civiltà perduta. Così, se per Tarantino Pitt è uno stuntman sul viale del tramonto in C’era una volta … Hollywood, in sala il 18 settembre, Gray lo ha voluto invece per l’astronauta Roy McBride, al cinema il 26. Un viaggio ai confini del sistema solare alla ricerca del padre – interpretato da Tommy Lee Jones – e alle prese con un mistero che minaccia l’umanità. Un’esperienza intensa per Pitt – anche produttore – in cui, per sua stessa ammissione, ha «esplorato il dolore», tra lunghe conversazioni con il regista e la ricerca di equilibrio. Fisico e mentale.
IO & JAMES – «Credo che con la stesura di questa sceneggiatura James sia probabilmente arrivato all’apice della sua capacità narrativa, della sua capacità di raccontare eroi cinematografici, di esprimere la sua visione personale. Ci conosciamo da molto tempo e abbiamo parlato tanto prima e durante la lavorazione del film. Da subito ho trovato Ad Astra un progetto molto affascinante, per questo sono voluto entrare anche nel ruolo di produttore».
L’EQUILIBRIO – «Durante le riprese abbiamo fatto tutti uno sforzo costante per mantenere l’equilibrio che voleva James. Ogni volta in cui abbiamo avuto delle difficoltà, io e lui ci siamo confrontati con lunghe conversazioni sul mio personaggio, su cosa indicasse il suo essere isolato dal resto del mondo. E devo dire che sono molto molto felice dell’equilibrio che abbiamo trovato».
IL DOLORE – «Per quanto proviamo a nasconderlo a noi stessi e agli altri, tutti ci portiamo dietro dolori e ferite dall’infanzia. Credo che un attore debba saper utilizzare questi sentimenti ed essere sincero verso lo spettatore: questo è ciò che ho cercato di fare in Ad Astra. Perché se so di non essere sincero, so che non riesco a esprimere sincerità verso chi mi guarda sullo schermo».
GLI OSCAR – «Vorrei che Ad Astra fosse visto, guardato, capito, perché ci abbiamo lavorato tutti, per molto tempo. È stata una vera sfida perché opera su più fronti diversi, si pone domande sulla nostra esistenza e sono curioso di vedere come sarà recepito. La corsa agli Oscar? Ogni anno noto opere che vengono riconosciute e altre, altrettanto meritevoli, invece no. Quindi quando arriva il successo è semplicemente divertente, nient’altro…».
LA QUALITÀ – «Sia io che James siamo cresciuti con i grandi film degli anni Settanta, il grande cinema del tempo. Quando oggi lavoro ad un film, sia come attore che come produttore, è quello il livello che cerco e a cui aspiro. Non cerco personaggi buoni o cattivi, semplicemente umani. Sono questo tipo di storie ad attirarmi perché non vedo il mondo in bianco e nero. Le persone con cui lavoro la vedono come me ed questo è quello che ci guida quando realizziamo un film. Se una cosa ci colpisce, beh allora immaginiamo colpirà anche gli altri…».
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