LOS ANGELES – La metamorfosi di Colin Farrell per diventare Oswald Cobblepot, meglio conosciuto come Il Pinguino, è avvenuta la prima volta sul set di The Batman, film diretto da Matt Reeves nel 2022 con Robert Pattinson nel ruolo di Bruce Wayne. A distanza di quasi due anni l’attore irlandese è tornato alla sedia del truccatore prostetico Mike Marino (The Batman, Il Cigno Nero, I morti non muoiono) per vestire nuovamente i panni di uno dei nemici più celebri di Batman in The Penguin, spin-off e sequel del film di Reeves, in quanto ambientato dopo gli eventi narrati nel lungometraggio. Nella miniserie viene raccontata l’ascesa al potere di Oswald Cobblepot, detto Oz Cobb, che come ci dice lo stesso Farrell durante il nostro incontro al London Hotel di West Hollywood: «Coincide anche con la sua discesa nella follia e nella psicopatia».

«A cinque o sei anni ero un fan del Pinguino interpretato da Burgess Meredith in Batman ’66 e poi ovviamente di quello di Danny DeVito nel film di Tim Burton, quindi far parte di tutto ciò è stato un grande onore». Ci racconta Farrell, visibilmente dimagrito, in netto contrasto con il suo personaggio nella serie. «Ho preferito perdere quasi 30 kg e indossare un body insieme alle protesi, processo al quale nel corso delle riprese mi sono sottoposto quasi 90 volte, spesso anche alle 2 del mattino». The Penguin arriva in Italia su Sky Atlantic e la programmazione continuerà con una puntata ogni lunedì, fino alle otto totali. Gli episodi saranno disponibili anche in streaming, su Sky on demand e NOWtv.

L’ISPIRAZIONE – «Per il ruolo in The Penguin non c’è mai stato nessuno in particolare a cui ho pensato. Qualcuno mi ha citato Dustin Hoffman in Un Uomo da marciapiede, e personalmente non avevo mai pensato a Ratso Rizzo nemmeno per un secondo. La settimana scorsa qualcuno mi ha detto che, avendo visto i primi due episodi, Oz gli ricordava De Niro ne Gli Intoccabili nel ruolo di Al Capone. Qualcun altro ha menzionato James Gandolfini. Quindi, apparentemente non è una performance originale. Quello che intendo dire è che tutti loro sono presenti. Ho visto Gli Intoccabili due volte, ho visto Un uomo da marciapiede quattro volte. Come attore, qualsiasi cosa tu veda, qualsiasi pezzo di musica ascolti, tutto si incontra dentro di te in un modo che viene poi assorbito, filtrato e utilizzato attraverso ogni singolo personaggio che interpreti, chi più, chi meno».

L’IMPATTO CON IL PINGUINO – «Quando ho letto per la prima volta il copione di The Batman ero un po’ confuso. Quando ho incontrato Matt Reeves per parlarne avevo appena terminato un progetto chiamato The North Water (miniserie televisiva, 2021, ndr), per cui avevo preso 20 o 30 chili. E lui mi ha detto: Oh mio Dio, stai benissimo, il tuo corpo è fantastico. Gli ho risposto: Beh, che te ne frega, dì addio a questo fisico perché sto per perdere peso. Volevo tornare in forma. Matt mi ha solo chiesto: Hai visto come apparirai?. Come apparirò? Suona quasi come una minaccia. Non avevo ancora visto nulla e allora Matt ha aperto il suo computer, eravamo a Londra nel suo ufficio, circa sei mesi prima che iniziassimo a girare The Batman, e mi ha mostrato questa creazione del Pinguino. Matt era confuso inizialmente e anche io lo ero. Ma, in un certo senso, mi convinceva, mi trasmetteva un senso di storia, di minaccia, di violenza. C’era anche qualcosa di triste nel suo aspetto complesso».

COME OZ DIVENTA IL PINGUINO – «Ad Oz Cobb capita un incidente nel corso di The Penguin, accadimento che è stato determinante più di qualsiasi altra cosa nell’indirizzarlo verso l’uomo che poi è diventato. Ma c’è anche qualcosa dentro di lui: è nato con una limitazione fisica che, scusate il gioco di parole, è stata emotivamente e psicologicamente invalidante. Si è sentito soggiogato dalla sua limitazione ed è stato vittima di bullismo. È stato trattato in modo crudele dalla società. Non sto giustificando alcun atto, ma il più delle volte quando qualcuno commette un atto di crudeltà in questa esperienza umana che tutti condividiamo, si scopre che è stato trattato in modo crudele in qualche momento della sua vita. Oz, infatti, è stato trattato con grande crudeltà. Non da sua madre, anche se in relazione alla perfetta salute in cui vivono entrambi i suoi fratelli maggiori, lui è stato una sorta di figlio secondario o terziario. Anzi, sua madre è stata la più grande influenza nella sua vita; nonostante ciò nulla poteva alleviare il dolore che aveva dentro di sé e questo spesso viene fuori grottescamente».

PERCHÈ INTERPRETARE IL PINGUINO – «Sono un grande fan della natura darwiniana. Ho conosciuto persone che provenivano da famiglie disastrate e violente e che hanno continuato a fare le cose più straordinarie e compassionevoli nella loro vita per sé stessi, per i loro parenti più stretti, per i loro amici e per la comunità; ho conosciuto persone che provenivano da famiglie molto privilegiate, molto amorevoli, e che non hanno fatto un cazzo della loro vita. E poi hanno attraversato un percorso di guarigione anche se nel mentre hanno fatto del male a molte persone. Quindi, non c’è nulla di lineare in questa esperienza che è l’essere umano. Oz ha certamente attraversato molto dolore e molta incertezza nel suo passato. E questa è stata la cosa più bella dell’aver fatto The Penguin, perché è vero che niente è giustificato, ma allo stesso tempo possiamo cercare di capire perché le persone sono come sono. E c’è il perdono, c’è la redenzione e c’è anche un punto in cui si va troppo oltre. Credo che alla fine della serie, senza fare spoiler, Oz si sia spinto troppo in là e da lì non possa più tornare indietro. È caduto in un luogo oscuro, ed è lì che appartiene ora».

LA GIUSTA DISTANZA – «Abbiamo lavorato con una troupe straordinaria a New York per circa un anno e alcuni membri, l’ultimo giorno delle riprese, sono venuti da me e mi hanno detto: Ci piacerebbe incontrarti un giorno. Cosa intendete?, ho chiesto. E loro: Beh, non abbiamo mai visto il tuo volto…. Effettivamente è stato strano… ma la cosa positiva dell’aver avuto un aspetto differente è che ho avuto più oggettività rispetto a quella che ho di solito. Di solito, sono completamente immerso nell’insicurezza e nel dubbio verso me stesso e nel disprezzo per tutto ciò in cui mi vedo. Dopo la prima proiezione de Gli Spiriti dell’Isola, sono uscito dalla sala e ho detto a mia sorella: Sono fregato. Non lavorerò mai più. La mia presenza in qualcosa la rovina immediatamente per me. E nel caso di The Penguin, era rovinato solo per l’80%. Sono riuscito a mantenere una certa grazie al trucco, all’aspetto, alla silhouette diversa. Anche i miei occhi sembrano diversi. È come se stessi guardando il mondo in un modo diverso. E quando ho messo il trucco per la prima volta, è stata una sensazione immediata. Io, come Mike, ho avuto lunghe conversazioni con Matt Reeves sulla psicologia di Oz e su quanto fosse paranoico e insicuro, su quanto volesse essere visto. Voleva avere il potere di esprimersi su questo palcoscenico che è Gotham City e nel suo sottobosco. Avevo riflettuto molto, ma quando il trucco è stato applicato e mi sono guardato allo specchio, è stato come quei video su YouTube, quando un gatto si guarda per la prima volta allo specchio e si stupisce. Quando ti guardi allo specchio e il tuo riflesso non è quello che hai visto per 45 anni, è una cosa davvero potente. Se indossi qualcosa che ti cambia totalmente, cominci a sentirti diversamente e inizialmente sei confuso. È un po’ strano, ma è una sensazione potente e io mi ci sono abbandonato».

IL TRUCCO – «La prima applicazione, che è avvenuta circa sei mesi prima del film The Batman, è durata otto ore. C’era qualcuno che si occupava dei capelli, qualcuno che si occupava dei peli sulla parte posteriore delle mani, qualcuno che si occupava della parrucca, qualcuno dei denti. E’ stato un intero processo con 10 o 11 artisti in uno studio a Burbank. È stata una delle giornate più magiche in 25 anni di carriera come attore. Ero elettrizzato. Non posso credere che mi stia preparando per essere il Pinguino, pensavo. È stato straordinario. In quel periodo io e Danny DeVito ci siamo scambiati scherzosamente qualche messaggio per prenderci in giro a vicenda su chi era il miglior Pinguino. Poi con la serie TV siamo riusciti ad arrivare a tre ore al giorno. È stato un momento magico per me perché il team di trucco era un gruppo molto eclettico. Avevano colori di capelli pazzeschi, tatuaggi ovunque, piercing, persone con uno spirito dolce e artisti brillanti. Ogni mattina, entrando nel trailer del trucco, sembrava che fosse arrivato un circo in città. Avevamo il nostro trailer solo per il Pinguino. Nessuno poteva realmente entrare, perché l’ultima cosa che vuoi è che qualcuno entri quando il naso è a metà. Mi sentivo molto timido e vulnerabile quando il trucco era solo a metà. Volevo mantenere il segreto solo per me stesso. È per questo che ho indossato il passamontagna durante la lettura delle battute».

L’ACCENTO NEWYORKESE – «Per The Penguin ho avuto un coach di dialetto straordinario, con il quale ho lavorato per circa due o tre mesi. Ascoltavamo una marea di voci e accenti diversi, interviste di attori su YouTube nel corso degli anni e dei decenni. Siamo tornati fino agli anni ’40 per alcune registrazioni audio di certe persone. E ci siamo concentrati su due o tre suoni diversi. Uno era un tono più basso, e l’altro era il dialetto reale, il suono effettivo, l’articolazione di certi suoni. Poi durante le riprese, per restare nel personaggio, lasciavo messaggi vocali o chiamavo i miei figli facendo la voce di Oz. Sul set c’era un igloo, una specie di tenda che chiamavamo igloo, e c’erano dei condizionatori industriali che pompavano aria all’interno. Durante le pause tra un ciak e l’altro, io mi allontanavo dal set e andavo nell’igloo e mi sedevo su una sedia, annoiato, a fissare il vuoto. E così lasciavo messaggi per i miei figli al telefono facendo la voce di Oz Cobb: Come stai? Come va tesoro?. Sono sicuro che magari il primo messaggio gli sia piaciuto».

LASCIARE OZ E TORNARE COLIN – «Alla fine di ogni giornata di riprese, ero esausto. Per quanto il processo di mettere il trucco, che richiedeva tre ore, fosse utile per entrare nel personaggio, alla fine della giornata c’era un processo di rimozione che durava 45 minuti, e alla fine della rimozione, provavo un sollievo dopo essere stato in quello stato per 15 ore. Non fraintendermi, non mi sto lamentando. Ma il sollievo di togliere tutto il trucco era come rinascere. Ogni giorno era come tornare a me stesso, anche perché alla fine ero diventato anche io un po’ scorbutico, perché Oz è un personaggio inesorabilmente crudele – e lo dico con affetto e non con giudizio – quindi sì, ero un po’ giù di morale alla fine delle riprese. Infatti tornavo nella mia camera d’albergo e mettevo alla televisione Alla ricerca di Nemo. Giuro, dovevo guardare cose leggere. Alla ricerca di Nemo è stata la salvezza».
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- VIDEO | Qui per il trailer di The Penguin:
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