MILANO – Paul Schrader è tra gli ultimi della Nuova Hollywood che porta ancora avanti una certa idea di cinema nello storytelling moderno e come lui tanti altri (Martin Scorsese, non a caso). Nel suo rimpastare quella versione di Lolita che era il suo (il loro, con Scorsese) Taxi Driver, in cinquant’anni dall’uscita di quel film Schrader lo ha riproposto in tutte le salse immaginabili, cambiando spesso prospettiva. L’indagine sulle sfaccettature dell’oscurità dell’animo umano con la quale maschera questo rimpasto, ne Il Maestro Giardiniere – passato a Venezia e ora in streaming su TIMVision – passa attraverso empatia e redenzione. Narvel Roth (Joel Edgerton) è un meticoloso orticoltore che si dedica alla cura dei giardini di una splendida tenuta e asseconda la sua datrice di lavoro in ogni suo capriccio, la ricca signora Haverhill (Sigourney Weaver).

Quando quest’ultima gli chiede di occuparsi della sua bisnipote come apprendista, la problematica e ribelle Maya (Quintessa Swindell), vengono a galla oscuri segreti di un passato violento che Narvel pensava di aver sepolto. Ideologicamente Il Maestro Giardiniere chiude una trilogia sui rimorsi di uomini violenti e soli confinati nelle loro crisi esistenziali, iniziata con First Reformed – La creazione a rischio (di cui vi avevamo raccontato qui) e continuata con Il collezionista di carte. Di diverso stavolta c’è che il personaggio di Joel Edgerton è irredimibile per via del suo passato da naziskin di cui sono visibili i segni con dei tatuaggi che scalfiscono il suo corpo e le sue azioni. Nonostante questo, Narval fa di tutto per redimersi dimostrano un’atipica empatia che passa dall’inconfondibile stile di Schrader in cui il controllo della routine passa da spazi rituali e spirituali.

Tali elementi conferiscono alla pellicola un carattere fiabesco non solo grazie ai colori dei fiori e ai caratteri delle piante descritti da Narval Roth (il giardiniere dice ad un cero punto che alle piante «Bisogna dar loro il tempo di cambiare, di adattarsi», metafora perfetta di una redenzione a cui lui stesso crede fermamente sconvolgendo qualsiasi archetipo), ma anche grazie alla strabiliante colonna sonora di Devonté Hynes alias Blood Orange (ascoltare per credere qui). Il mondo fiabesco di Narval – così come il film – subisce una decisa rottura quando entra in gioco Maya e tornano le tipiche formule di Schrader in cui una fantasia da Lolita butta un po’ giù quello che c’era di buono nel film trasformandolo in una sorta di revenge movie.

Così il personaggio di Joel Edgerton dimentica tutto quello a cui sembrava aspirare fino a quel momento. Come altri suoi film, anche questo racconta un’idea di cinema e uomo fragile che Paul Schrader porta avanti dagli anni Settanta, ma che nel nuovo millennio ormai si scontra con soluzioni narrative un po’ ingenue e semplicistiche a fronte di grandi studi sui personaggi, ma che purtroppo non riescono a stare al passo coi tempi. Almeno non completamente. Così sembra che l’intenzione ormai di questo autore sia fare i film soltanto per lui, nemmeno più per i suoi fan più devoti a cui Il Maestro Giardiniere sicuramente risulterà il meno riuscito di questa sua trilogia ideologica e che pure ha molto da dire e molto su cui riflettere…
- LONGFORM | Tuta Blu, Richard Pryor e l’esordio di Schrader
- STORIE | Lo spacciatore, i trent’anni di un film dimenticato
- VIDEO | Qui per il trailer del film
Lascia un Commento