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Richard Pryor, cocaina e classe operaia | Ma cosa rimane di Tuta blu, l’esordio di Paul Schrader?

Keitel, Pryor, Kotto, le liti sul set, le risse: perché recuperare in streaming un cult dimenticato

Yaphet Kotto, Richard Pryor e Harvey Keitel in Tuta Blu di Paul Schrader.

ROMA – Non li riguarda mai i suoi film Paul Schrader. In maniera forse un po’ troppo pessimistica ma è convinto che sia una di quelle situazioni in cui non vince mai nessuno: «Se sono buoni ti chiedi che fine abbia fatto il talento che avevi, se cattivi ti rendi conto che non ne hai mai avuto». Per Tuta blu però, l’esordio alla regia, Schrader scelse di fare un’eccezione. In occasione dell’incisione della traccia audio del commento del regista sull’edizione in DVD del 2006, Schrader lo rivide per la prima volta a distanza di due decadi senza tradire, per questo, il benché minimo entusiasmo: «Beh, è strano guardarlo dopo tutti questi anni». Nonostante la critica dell’epoca ne esaltò la complessità narrativa definendolo arrabbiato e radicale –  e Spike Lee lo abbia inserito tra i film essenziali per ogni giovane regista – tra Tuta blu e Schrader non è mai scoccata la scintilla. In questa nuova puntata di Longform – le altre le trovate qui – andiamo a scoprire il perché.

Schrader con Keitel, Kotto e Pryor in un (raro) momento di serenità sul set…

Un esordio dorato da cui ha sempre più preso le distanze arrivando quasi a rinnegarlo, ma non è stato sempre così però. Al tempo della lavorazione Schrader vedeva in Tuta blu un completamento. Dopo aver firmato le sceneggiature di Yakuza, Taxi Driver, Obsession e Rolling Thunder necessitava di sentirsi responsabile della sua vita creativa: «Una volta che sono stato in grado di dirigere, sono stato in grado di tornare a scrivere per altri senza per questo sentirmi incompleto».  Ispirato a storie di disillusione di vita reale, l’idea alla base di Tuta blu riguarda il privato di Sidney A. Glass, un giovane di Detroit – poi accreditato alla voce materiale originale – che di lì in avanti firmerà altre due sceneggiature, il cui padre, meccanico in una fabbrica, si suicidò. A Schrader l’idea piacque ma sentiva che c’era bisogno di un’azione di riscatto sociale.

Richard Pryor in un momento di Tuta Blu.

Propose così un gruppo di lavoratori stanchi e oppressi dalla routine – Zeke (Richard Pryor), Jerry (Harvey Keitel), e Smokey (Yaphet Kotto), che trio fantastico! – che decidono, un giorno, di ricattare il proprio sindacato. Una suggestione che prese sempre più piede quando, già a sceneggiatura ultimata, Schrader fece dei sopralluoghi a Detroit sentendosi dire da uno dei lavoratori intervistati: «Sai chi odiamo più della dirigenza? Il nostro sindacato. Ci fo**ono!». La Universal, che al momento del pitch di Schrader storse il naso sentendo della divisione etnica squilibrata tra i tre protagonisti, credeva poco nel successo di Tuta blu. Per attirare il pubblico propose tra gli interpreti un Richard Pryor comico in rampa di lancio su cui puntò tutto il marketing. La promozione di Tuta blu infatti andò ad integrarsi nel 1978 con quella dell’altro film Universal con Pryor protagonista: Which Way Is Up? Suo il volto che campeggiava sul poster promozionale. Lui l’attrazione e suggestione. E in effetti è proprio Pryor la stella luminosa che brilla sullo schermo.

In posa sul set. Da notare la maglietta di Paul Schrader…

L’uscita dal terreno delle commedie brillanti permise a Pryor di esprimere al meglio il talento in un rigoroso dramma sociale caustico e dal ritmo teso. Una fiaba amara sulla sopravvivenza del working class hero che, sullo sfondo residuale new-hollywoodiano di frammenti del sogno americano, lega al suo interno cameratismo e amicizia, lotta di classe e condizione lavorativa dei neri d’America. Eppure, nonostante il successo e la performance iconica, la collaborazione con Pryor fu per Schrader quanto di più vicino ad un incubo a occhi aperti tanto da riferirsi a lui come «il mio grosso problema nero». A detta di Schrader, l’interprete era tutt’altro che piacevole a telecamere spente. Forte della sua aura da comico impegnato nel sociale si rivolgeva alle persone istigando situazioni e pregiudizi razziali, e tutti lo odiavano. Il giorno dopo sarebbe stato una gioia e avrebbe cercato di ingraziarsi tutti.

«Adesso sapete che facciamo? Picchiamo Schrader…».

Tutto qui? No. Come se non bastasse, le sopracitate scelte di marketing della Universal causarono inimicizie tra i membri del cast. Né a Keitel né a Kotto faceva piacere stare un passo indietro rispetto a Pryor. Problema alimentato dallo stesso Schrader che per sua stessa ammissione sintetizzò così la situazione: «Ho assunto tre tori chiedendo loro di entrare in un negozio di porcellane promettendo a ognuno di loro che sarebbe stato il protagonista». Più si andava avanti con le riprese infatti, più i tre capirono che nessuno di loro avrebbe primeggiato sugli altri in termini di minutaggio e scene-chiave. La cosa sfociò ben presto in una lotta egotica su chi avrebbe vinto la giornata. Nulla, tuttavia, che facesse pensare a della sana competizione. Pryor, Keitel, e Kotto litigavano costantemente sul set, tradendo in parte quella che sullo schermo sembrava essere straripante alchimia cameratesca. Un’escalation che vide Pryor prima prendere a cazzotti Keitel (che a metà lavorazione scappò in aeroporto per tornarsene a casa salvo poi essere convinto a tornare dal suo agente), poi spaccare una sedia sulla schiena di Kotto, arrivando infine a puntare una pistola alla testa di Schrader che, giunto al punto di rottura, fu colto da un esaurimento nervoso.

Schrader sul set con Bobby Byrne, direttore della fotografia, scomparso nel 2017.

Ironicamente, e dopo che per anni lo accusò di averlo spinto a riabbracciare la cocaina sul set di Tuta blu, negli anni novanta Pryor chiese a Schrader di adattare la sua autobiografia, proposta a cui l’autore rispose con: «No, non finché è ancora vivo». Nel pieno del suo quarantennio Tuta blu (lo trovate in streaming su CHILI) resta ad oggi uno dei migliori esempi di cinema sociale americano capace di catalizzare, tra le fila della narrazione, i venti di cambiamento e di rabbia ribelle del tempo fatti di alienazione dell’individuo e disinteresse delle istituzioni. Un’opera dolorosa nel ricordo della lavorazione per cui Schrader spese parole al miele nell’analizzare la morte di Smokey, uno dei momenti chiave del racconto: «A livello realistico ha zero credibilità, ma mostra il potere del cinema per cui se è l’emozione giusta e l’azione giusta al momento giusto, il pubblico mette da parte la propria sensibilità e sceglie di seguirlo».

Detroit Guys: Richard Pryor e Harvey Keitel.

E alla fine cosa ci rimane oggi, a distanza di oltre quarant’anni da quella sera del 10 febbraio 1978, data dell’anteprima? L’ennesima lezione di un autore che, da Tuta blu all’ultimo Il collezionista di carte (di cui potete leggere qui) passando per Hardcore, American Gigolo, Mishima, e First Reformed, è sempre riuscito a cavalcare gli oceani del tempo arrivando alla totale e assoluta immortalità artistica.

  • IL FILM | Qui potete vedere Tuta Blu in streaming su CHILI
  • LONGFORM | Le altre puntate della nostra sezione
  • Qui il trailer originale di Tuta Blu:

 

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