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Watching the Wheels | John Lennon e quell’utopia chiamata immaginazione

Il 9 ottobre 1940 nasceva l’ex Beatle. Un sognatore che ci ha insegnato a vivere con gli occhi aperti

john lennon

ROMA – 9 ottobre 1940. Nasceva in una Liverpool messa in ginocchio dai bombardamenti John Winston Lennon. Un omaggio patriottico dei suoi genitori a Winston Churchill che qualche anno dopo trasformerà in un omaggio alla donna della sua vita, Yoko Ono. Quell’artista giapponese tanto odiata e accusata di essere la causa dello scioglimento dei Beatles, simbolo ideale della fine dei favolosi anni Sessanta che i baronetti avevano attraversato tra giacche alla coreana, frangettoni, metamorfosi hippie, sperimentazioni lisergiche e milioni di dischi venduti. In mezzo anche 5 film – di cui uno in formato cartoon, Yellow Submarine – con i quali cavalcare e copiare l’onda dei musicarelli alla Elvis per poi dare vita a sperimentazioni oniriche e immerse nell’LSD come Magical Mystery Tour.

John Lennon
John Lennon a New York

Ottant’anni (+1) che si sono fermati trent’anni fa, l’8 dicembre 1980, davanti al Dakota Building di New York, a due passi da quell’angolo di Central Park in cui oggi c’è lo Strawberry Fields Memorial, tra una copia de Il Giovane Holden in una mano e i cinque colpi di pistola esplosi da un ragazzo che sole poche ore prima si era fatto autografare una copia di Double Fantasy come un fan qualsiasi. Ma cosa è rimasto di John Lennon oltre i santini rock? La musica su tutto, certo. Dai primi pezzi scritti per emulare i suoi idoli, Little Richard e Elvis, a brani confessione come Watching the wheels, dalla rabbia di Gimme Some Truth al racconto della disintossicazione in Cold Turkey passando per la lucidità di God e la dolcezza di Julia.

Ma John Lennon, teddy boy con il chiodo di pelle ad Amburgo e capellone pacifista nei bed-in di protesta ad Amsterdam, è stato anche molto altro. Lo dimostra l’influenza che ha avuto su generazioni di artisti futuri, dai fratelli Gallagher agli Arctic Monkeys, ma anche sulle vite di persone qualunque (compresa chi scrive) che in quei testi, in quelle prese di posizione contro la guerra o contro il razzismo hanno trovato una voce da seguire e in cui rispecchiarsi. Un uomo che non ha avuto paura di ammettere i suoi limiti, la sua mascolinità tossica – come si dice oggi – smussata da quell’artista taciturna che ne ha fatto un uomo e un cantautore ancor più schietto e libero, perché no, di prendersi una pausa di cinque anni per cresce il loro Sean mentre lei si occupava degli affari.

John Lennon
John Lennon e Yoko Ono e il loro bed-in per la pace. Era il 1969

Un uomo che non voleva essere un modello, un re da idolatrare, ma che, suo malgrado, era diventato «più popolare di Gesù Cristo». E allora perché non sfruttare tutta quella fama? Marce di protesta, attivismo politico, canzoni a favore di Angela Davis e John Sinclair, il titolo di baronetto rispedito a Buckingham Palace per manifestare il suo dissenso al sostegno dell’Inghilterra all’America in Vietnam. Una serie di attività che lo fecero finire dritto nel mirino dell’amministrazione Nixon e gli fecero sudare quella tanto agognata Green Card. John Lennon e New York, la città della maturità artistica e di un’infinità di vita – bella e brutta – in cui ritrovarsi e accettarsi. E il cinema? Non poteva certo esimersi dal (provare a) raccontarlo. Tanti documentari – da U.S.A. contro John Lennon a Imagine –, una manciata di film a lui dedicati – da Lennon Naked a Nowhere Boy –, altrettanti ispirati ai Beatles – dal meraviglioso Across The Universe a La vita è facile a occhi chiusi – e (la nostra) convinzione che Joaquin Phoenix, oggi, sarebbe l’attore perfetto per catturarne l’assenza. Gomma da masticare in bocca, mani sulle cuffie e il fischiettio di Jelaous Guy

Ironico e sbruffone, fragile e pungente, John Lennon era (ed è) l’amico che avremmo voluto e che, attraverso quei dischi suonati a ripetizione in pomeriggi mai dimenticati, abbiamo sentito un po’ nostro. Un sognatore con cui abbiamo fluttuato in cieli di marmellata e passeggiato per campi di fragole, urlato di dare una possibilità alla pace e guardato le balene in mare. Come sarebbe stato oggi? Chissà magari avrebbe usato Instagram per incitare i suoi fan a votare e invocare giustizia per gli afroamericani uccisi senza motivo. Oppure si sarebbe ritirato in una casa sulla spiaggia come ha immaginato Danny Boyle nel finale di Yesterday, commedia in cui, per uno strano blackout, il mondo non ha mai conosciuto i Beatles. Ecco, noi un mondo senza Beatles, un mondo senza John Lennon non ce lo sappiamo davvero immaginare. «You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one».

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