MILANO – Regia pulita ed essenziale, l’approccio agli eventi pacato, quasi freddo, che lascia spazio ad una sceneggiatura asciutta e rigorosa nel susseguirsi delle sue logiche. Se nei primi quindici minuti di Richard Jewell tutto questo rende la ricostruzione dei fatti (realmente accaduti, ve ne abbiamo già parlato qui) a tratti didascalica e ovvia, dopo la sequenza chiave dello scoppio della bomba, il film prende finalmente le sembianze del suo regista, Clint Eastwood che, con tutte le affascinanti spigolosità e rigidità, ha da sempre (ricordate Un mondo perfetto con Kevin Costner?) l’innata capacità di far emergere dai suoi lungometraggi innumerevoli sottotesti e spunti di riflessione, senza che questo intacchi la lineare nitidezza della narrazione.

I colori accesi sembrerebbero essere incongruenti con il contenuto della vicenda, ma è proprio la contraddizione uno dei temi chiave, che ci presenta l’Atlanta delle Olimpiadi come un riflesso americano che non corrisponde all’immagine che il mondo aveva degli USA nel 1996. Una città i cui abitanti pensano ai Giochi come ad un evento che porterà solo traffico e qualche dollaro alla Coca-Cola. I protagonisti della vicenda, di conseguenza, sono lontani dagli atleti-eroi che attraverso la televisione sfoggiano medaglie d’oro e bandiere a stelle e strisce. Tra i protagonisti, Richard Jewell (Paul Walter Hauser, visto l’anno scorso in The Instigators con Matt Damon), un trentaquattrenne in carne che vive con la madre (Kathy Bates) e si barcamena con qualche lavoretto da guardiano. Con lui Watson Bryan (Sam Rockwell), un avvocato sull’orlo del fallimento che si è messo in proprio più per pigrizia che per spirito imprenditoriale.

A connettere questi due mondi ci sono i media, quello dell’apparenza e quello della realtà vissuta. Da un lato la televisione (sempre accesa anche in casa di mamma Jewell) e i suoi miti, dall’altro la voglia di ribalta della piccola testata locale –The Atlanta Journal-Constitution – e della spregiudicata giornalista Kathy Scruggs (Olivia Wilde), a caccia della sua occasione. E quando arriva, gli scrupoli non esistono, le persone diventano gradini da calpestare per raggiungere il trampolino di lancio. In questo meccanismo il povero Jewell rimane schiacciato: prima lusingato per un gesto eroico che in realtà è il colpo di fortuna di un ragazzo pedante e per certi versi disturbato; poi infamato per mesi a causa di un’indagine a suo carico che l’FBI si è fatta sfuggire.

La costante? Le prese in giro a Richard, per il fisico, per la sua ingenuità e manovrabilità, per l’amore profondo che prova per un’America di cui ha assorbito i valori, ma che lo condanna ad un vita infelice. E lui l’accetta come regalo poco gradito, con la forza d’animo degli umili, ovvero il valore chiave che Eastwood fa emergere. Così, è impossibile non pensare a Sbatti il mostro in prima pagina, in cui Marco Bellocchio nel 1972 svelava i meccanismi del consenso attraverso la colpevolizzazione (anche di un innocente) e la gogna pubblica. Ma qui il passo è ulteriore, perché Eastwood non tratta della costruzione del “mostro”, bensì dell’improvviso ribaltamento di fronte, per cui basta la notizia di un’indagine a proprio carico per passare, in una notte, da eroe a nemico pubblico.

E, oltre che d’autore, Richard Jewell è anche un film di attori. Oltre a Kathy Bates (candidata all’Oscar), da sottolineare le interpretazioni di Paul Walter Hauser e Sam Rockwell. Il primo conferma il suo talento, e non era facile dato che è alla prima interpretazione importante (forse avrebbe meritato lui la cinquina agli Academy); Rockwell, invece, è straordinario da sempre e negli ultimi anni, finalmente, è riuscito a ritagliarsi lo spazio che merita. Una considerazione a parte, invece, merita il personaggio di Kathy Scruggs: Olivia Wilde è perfetta, eppure Eastwood rischia una denuncia per diffamazione per l’immagine che il film dà della giornalista – ad oggi deceduta – e della sua professionalità. L’impressione è che il regista avesse bisogno di un personaggio negativo e stereotipato per far sì che il film fosse più agile e comprensibile e, soprattutto, per enfatizzare il suo giudizio verso quelle tesi (pre)confezionate adatte solo alla carta di una prima pagina.
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- VIDEO | Qui potete vedere il trailer di Richard Jewell:
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