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Carlo Verdone: «Quel maestro per amico: i miei dieci anni a fianco di Sergio Leone…»

Il primo incontro, i viaggi, i film preferiti, le passioni: a trentacinque anni dalla morte il ricordo dell’attore

Carlo Verdone con Sergio Leone sul set di Troppo forte. Era il 1985.

ROMA – «La prima volta? Ci incontrammo a casa sua, all’EUR. Mi fissò per un minuto, poi mi disse: “Devo ancora capì perché me fai tanto ridere…”». Carlo Verdone se lo ricorda bene il primo incontro con Sergio Leone: era l’inverno del 1979 e il regista lo aveva visto in televisione, a Non stop, la trasmissione cult di Enzo Trapani, e decise di telefonargli. «Andò a rispondere mia madre. Poi appoggiò la cornetta al tavolino e mi disse: “Carlo, questo dice che è Sergio Leone. Speriamo non sia uno scherzo”». No, non era uno scherzo e da quel momento per dieci anni, ovvero fino alla morte del regista, il 30 aprile del 1989, Leone diventerà non solo un punto di riferimento per Verdone, producendo i suoi primi due film, Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone, e scrivendo Troppo forte, ma soprattutto un grande amico.

Verdone con Leone e Mario Brega sul set di Bianco, rosso e Verdone.

Carlo, partiamo dall’inizio: chi era Sergio Leone?

«Un uomo unico, un personaggio meraviglioso che sapeva anche incutere soggezione perché era autoritario e autorevole. La prima volta che andai a casa sua, che stava in via Birmania, all’EUR, mi venne incontro con addosso una delle sue vestaglie, uno degli abiti larghi che amava indossare. Seduto dietro la scrivania non disse niente per un po’, scrutandomi. Mi fece un po’ di domande, io cercavo di rispondere ma dovetti dargli l’impressione di una persona molto timida».

Avete lavorato molto insieme, soprattutto agli inizi della sua carriera, però tra di voi il rapporto non fu mai esclusivamente lavorativo…

«No, mai. C’era una grande amicizia tra me e Sergio. Ricordo con particolare affetto una domenica d’inizio estate di metà anni Ottanta: portai al mare, a Ostia, mia figlia Giulia, che aveva poco più di un anno. La misi in macchina e, al ritorno, decisi di passare a trovare Sergio visto che stava di strada. Lo trovai che stava seguendo in TV le partite, lui era laziale, e quando ci vide arrivare guardò Giulia e disse: “Fammela bacià”. Custodisco questo ricordo nel cuore…».

Leone con Robert De Niro sul set di C’era una volta in America.

Lei di fatto seguì direttamente anche tutta la gestazione e i postumi di Leone con la sua magnifica ossessione: C’era una volta in America.

«Che raccontò a me e a mia moglie un pomeriggio, a casa da lui. Ci invitò a pranzo e, subito dopo, cominciò a raccontarci il film nei dettagli, battuta per battuta, scena per scena. Ci mise tre ore e ce lo raccontò talmente bene che alla fine a me pareva di averlo già visto. Gli dissi che sarebbe stato sicuramente un capolavoro. “Speriamo”, rispose lui…».

Il capolavoro arrivò, ma le difficoltà del film stancarono molto Leone…

«Lo fiaccarono. Fu un’impresa girare C’era una volta in America, sia perché era un’opera che sentiva molto vicina, sia per le discussioni con il produttore, Arnon Milchan. Ricordo che andai a vederlo quando uscì, al Barberini. Lo amai subito, ma ci fu una cosa che mi fece male».

Quale?

«In contemporanea era uscito in sala anche un mio film, I due carabinieri, in cui ero con Enrico Montesano. Gli incassi erano buonissimi, mentre quelli di C’era una volta in America erano molto bassi, purtroppo. Ero felice per me, ma non potei non percepirla come un’ingiustizia: io in fondo avevo fatto un film popolare e godibile, lui invece ci aveva messo dentro la vita».

1984: Verdone con Enrico Montesano e Paola Onofri ne I due carabinieri.

Poi lavoraste ancora insieme su Troppo forte, nel 1986.

«Sì, dopo quel film iniziai a capire che non stava bene. Finite le riprese andammo insieme in Costa Avorio, un viaggio divertente ma fu lì che capii che qualcosa non andava. Sull’aereo di ritorno stavo in cabina a parlare con i piloti perché non riuscivo a dormire e arrivò Sergio. Mi guardò e mi disse: “Che stai affà? Io non me sento tanto bene”. Il comandante mi disse poi se serviva qualcosa, ma intuii che era qualcosa di più profondo. Al ritorno si fece ricoverare e fece una serie di esami. Anche dopo mi seguì sempre. Nel 1988, un anno prima di morire, mi chiamò per congratularsi per il successo di Compagni di scuola e io gli disse che dovevo tutto a lui. Lui si schermiva, ma gli faceva sempre piacere quando glielo dicevo».

Cinecittà, 1985: Leone e Verdone con Fellini e Alberto Sordi sul set di Troppo forte.

Oggi Leone è celebrato e citato, da Tarantino ai Coen: spesso però viene definito un genio del cinema più all’estero che in Italia. Perché?

«Difficile spiegare questo atteggiamento, ma va detto che non sempre il critico ha ragione, anzi. Rimango convinto che il miglior critico rimanga il tempo, perché solo il tempo riesce a dare il giusto valore a quello che hai fatto. A volte servono anni per capire il cinema. Abbiamo salutato come capolavori molti film di Luchino Visconti che però, rivisti oggi, non lo sono affatto. Comunque Leone va rispettato a prescindere perché ha saputo vendere i suoi film in tutto il mondo, dall’Asia all’Africa, e non in una nicchia d’autore, ma al grande pubblico. Non è poco».

Perché oggi Leone è tanto moderno?

«Perché il suo cinema era enorme, al punto che che oggi quel cinema non esiste più per numeri e dimensioni. Forse solo la Marvel di qualche anno fa è riuscita ancora a fare un cinema tanto grande, ma non so se sia più nemmeno cinema quello. Sergio inventò un nuovo linguaggio cinematografico: le riprese lente, i carrelli, gli scatti nevrastenici del montaggio, le facce. E poi gli effetti sonori usati in quella maniera peculiare, dal vento sui binari alle cornacchie: un linguaggio personale unico».

Il suo film preferito tra quelli di Leone?

«Qui litigavamo sempre. Un giorno gli dissi che non amavo particolarmente Giù la testa, non ero riuscito a entrarci dentro. Forse perché aveva toccato anche il tema politico. Sergio si arrabbiò moltissimo, mi disse che non capivo niente di cinema (ride, nda). Oggi continuo ad amare molto Per qualche dollaro in più, trovo che la coppia Clint Eastwood e Lee Van Cleef sia formidabile. Se però devo sceglierne solo uno, allora dico Il buono, il brutto, il cattivo. Un film perfetto, è praticamente l’Iliade…».

 

 

 

 

 

 

 

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