ROMA – Le immagini granulose e sporche, una chiesa gremita di abiti color pastello, una voce infinita, esplosiva, da lacrime e brividi. Così, dopo essere rimasto nel cassetto per quasi cinquant’anni anni, finalmente possiamo vedere il concerto-registrazione che Aretha Franklin ha tenuto alla New Temple Missionary Baptist Church di Los Angeles il 13 e 14 gennaio 1972. Dove? Nel documentario Amazing Grace, rivisto da Alan Elliott, che ha continuato il lavoro iniziato anni prima da Sydney Pollack, interrotto perché la sincronizzazione audio-video non era ancora agli apici raggiunti successivamente. Così, “like a miracle”, come scrive il New Yorker, ecco il documento filmato e firmato dalla Lady of Soul prima accolto al DOC NYC Festival, poi – tra gli applausi – alla Berlinale e ora finalmente in sala grazie a Adler il 14, 15 e 16 giugno.

Un po’ documentario – ci sono immagini di backstage totalmente inedite –, un po’ film – come il salto, spontaneo, del pubblico, sulle note di Amazing Grace – un po’ concerto (tra il pubblico c’è anche un signore di nome Mick Jagger), l’opera vede un’Aretha protagonista assoluta, voce e cuore, senza pronunciare mai una parola, se non cantando. E, allora, le corde dell’emozione vengono toccate tutte: fibrillazione, estasi, emozione, coinvolgimento di testa, cuore e anima. Perché? Ma perché quell’album, oltre essere il titolo più venduto di tutta la sua carriera, fa tornare la Regina al gospel, in un tripudio di musica che oggi ritorna, dopo aver fatto un viaggio immenso, e sembra anche lenire il dolore del post-pandemia.

Del resto, è impossibile contenere l’emozione durante How I Got Over, Take My Hand & You’ve Got a Friend o Wholy Holy, arrangiata da Aretha sul brano che fu di Marvin Gaye. E resta impresso a fuoco il momento in cui il padre, il reverendo C.L. Franklin, sale sull’altare, raccontando di quanto fosse orgoglioso di quella figlia, tra la bandiera americana e un Gesù messo lì dietro, a guardare stupito quanta bellezza c’era (ancora) nel mondo. E davanti una platea estasiata, adorante, impazzita. Dunque, se lo splendore è cosa rara, il documentario Amazing Grace – al montaggio Jeff Buchanan, collaboratore di Spike Jonze, trai produttori anche Spike Lee – è letteralmente un’apparizione. O meglio, un miracolo da non perdere.
Lascia un Commento