MILANO – A pochi giorni di distanza dal Super Tuesday, tappa delle elezioni presidenziali che ha visto trionfare il democratico Joe Biden, debutta su Fox – dal 9 marzo alle 21:50 – l’ultima stagione di Homeland. La serie di Showtime, creata da Howard Gordon e Alex Gansa su ispirazione dell’israeliana Hatufim, capace nell’arco delle sue otto stagioni di raccontare l’evolversi della politica americana su scala internazionale meglio di qualunque altro show, da West Wing a House of Cards o Jack Ryan. Al centro del racconto sempre lei, l’agente della CIA Carrie Mathison (Claire Danes) che abbiamo seguito tra le strade affollate dei mercati orientali e le stanze spoglie degli interrogatori.
Un personaggio rivoluzionario per il racconto del femminile sul piccolo schermo. Prima di Mrs. Maisel, Flebag o Hannah Horvath c’era Carrie Mathison. Agente della CIA, donna e bipolare, promiscua e risoluta, leale e ambigua. Un ritratto lontano dai contorni rassicuranti che, come le note del free jazz tanto amato – presenti anche nella sigla composta da Sean Calley -, è libera da regole e impossibile da incasellare in uno schema. L’abbiamo conosciuta mentre cercava di convincere, su una panchina fuori da Langley, il suo amico e mentore Saul (Mandy Patinkin) che Nicholas Brody (Damien Lewis), Marine ritenuto da tutti un eroe nazionale, durante gli otto anni di prigionia in Iraq si era convertito all’Islam ed era pronto a compiere azioni terroristiche su suolo americano per conto di al-Qaida.
Nove anni e otto stagioni dopo ritroviamo Carrie e Saul su una panchina. Ma questa volta quella ad essere accusata di essere una spia russa è lei. Un cerchio immaginario che si chiude collegando l’inizio alla sua fine. Un ottavo capitolo per Homeland che prosegue la sua narrazione riprendendo le fila del capitolo precedente. Carrie è alle prese con le conseguenze dalla prigionia in Russia e l’assenza di farmaci che ne hanno compromesso lavoro e vita privata. Proprio la salute mentale della sua protagonista ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo della serie intrecciando sfera personale e political drama. Un elemento giocato sempre a favore della storia dai due showrunner fin dall’inizio e che, in più di un’occasione, è diventato elemento indispensabile per la sua evoluzione.
Trattativa riservata – primo episodio di Homeland 8 che abbiamo potuto vedere in anteprima – mentre ci mostra lo sforzo dell’agente della CIA di rimettersi in carreggiata, parallelamente, svela le carte del suo focus politico. Sebbene su Carrie penda l’ombra del dubbio, Saul decide di affidarle un compito delicato: negoziare clandestinamente la pace con i talebani per porre fine ad un conflitto che va avanti da anni. Un compito complesso reso ancora più arduo dalla mancanza di fiducia tra le varie parti in causa che segna un ritorno di Carrie in Medio Oriente, tra ambasciate ed informatori da tenere segreti.
La geografia di Homeland cambia ancora una volta seguendo l’evolversi della politica statunitense. Tutto era iniziato a dieci anni di distanza dall’11/09, con gli spettatori americani costretti a confrontarsi con i sentimenti contrastanti per un national hero affiliato ad al-Qaida. Le stagioni successive ci hanno saputo raccontare di guerre tecnologiche e bombe intelligenti, di droni e terrorismo informatico, di voti elettorali influenzati e dell’avanzata del Califfato, di fake news e dati sensibili rubati. Dall’Afghanistan a New York, dal Pakistan a Berlino, da Washington alla Siria. Per la parola fine Homeland sceglie La Lunga Guerra iniziata sotto l’amministrazione Bush nel 2011 e riporta Carrie sul campo, a Kabul. E noi con lei, per l’ultima volta.
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Qui potete vedere il trailer di Homeland 8:
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