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Bloodride, la Norvegia e quella serie horror che non ti aspetti

Sei episodi autoconclusivi creati da Kjetil Indregard e Atle Knudsen per Netflix

Bloodride
Bloodride: c'è un elefante sull'autobus...

ROMA – In Bloodride ci si ritrova un po’ tutto: Ari Aster, David Lynch, Stephen King, The Twilight Zone. Addirittura i romanzi teen di Piccoli Brividi. Sei episodi autoconclusivi, in cui i creatori, Kjetil Indregard e Atle Knudsen, ci fanno salire a bordo di uno spettrale autobus che, fermata dopo fermata, fa scendere i protagonisti delle rispettive puntate. Così, con ogni storia a sé – alcune riuscite, altre meno – l’elemento più inquietante diventa la loro cornice: una Norvegia oscura e agghiacciante, onirica e disturbante che, appunto, si rifà ai canoni horror classici e moderni.

Bloodride
Gita in campagna?

C’è una casa nel bosco, un grattacielo di un’importante multinazionale farmaceutica, una scuola di campagna. Ogni segmento di Bloodride, poi, che dura non più di trenta minuti (se cercate una serie da divorare senza pensieri questa potrebbe fare al caso vostro) ha una morale ben definita, anche se tutte sono accumunate da un sottotesto che appare chiaro: alcune volte, essere dalla giusta parte, non aiuta. Infatti, i personaggi che incontriamo sono per lo più vittime delle loro benevoli scelte, che puntualmente finiscono in sei finali quasi mai scontati.

Bloodride
Presenze…

E, su questo bus per l’inferno, dall’estetica vagamente Anni Novanta, incontriamo una donna alle prese con la vita di campagna; un ragazzo appena uscito da una clinica psichiatrica; un’aspirante scrittrice che si ritrova controllata da qualcosa (o qualcuno…); un manager senza scrupoli che accusa i suoi dipendenti di aver sottratto un rivoluzionario prototipo; una maestra alle prese con spettrali presenze e due nuovi dipendenti che si ritrovano ad una strana festa in maschera aziendale.

bloodride
C’è un elefante nella stanza…

Sei micro-film realizzati a basso budget, dove lo spavento non è sempre preponderante, né il fine ultimo. Infatti, Bloodride, stimola lo spettatore a capire quale strada prenderà la storia, illudendolo prima e confondendolo dopo. Come nel secondo episodio (probabilmente il migliore) dove i sottogeneri e le ramificazioni dell’horror si incontrano in un esempio di scrittura niente male: sia chiaro, lo show di Indregard e Knudsen non è niente di nuovo, eppure nella sua immediatezza riesce a funzionare. Peccato solo duri davvero troppo poco…

Qui potete vedere il trailer di Bloodride:

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