ROMA – Che debutto quello del francese Xavier Legrand. Pochi registi sono stati capaci di stupire e sconvolgere con l’esordio. E lui c’è riuscito – classe 1979 – costruendo ne L’Affido un dramma dall’eco potentissimo, con un tema scioccante e attuale. Nell’opera scritta, diretta e basata sul suo cortometraggio Avant que de Tout Perdre (candidato all’Oscar, oggi disponibile su YouTube), la storia è potente: una madre, Myriam (Léa Drucker), cerca di ottenere l’affido del figlio Julien (Thomas Gioria), dopo il divorzio dal violento marito Antoine (Denis Ménochet). Il giudice, però, decide per l’affidamento congiunto. Passato a Venezia, con un paio di Leoni in bacheca (Leone d’Argento per la Regia e Leone del Futuro), L’Affido è uscito in Italia grazie a Nomad Film e noi di Hot Corn abbiamo incontrato Legrand in un confronto di idee e parole sparse.

LA TENSIONE – «Per rappresentare la paura ne L’affido, sono partito dal cinema di Alfred Hitchcock: non è il colpo che spaventa, ma l’apprensione di ciò che potrebbe accadere da un momento all’altro. Lo spettatore deve sempre trovarsi in tensione. E nel mio film c’è la paura di chi abbiamo vicino. Si tratta di una storia di dominio, le donne che vivono in queste situazioni hanno un costante timore, in un contesto famigliare dove è esercitato il potere maschile. Si parla di patriarcato ancor prima che di violenza domestica».

IL PUNTO DI VISTA – «Si incrociano diversi punti di vista ne L’affido: presento la storia, passando la palla allo sguardo neutro del giudice, fino alla vicina che denuncia il fatto. Il pubblico non deve essere ostaggio, ma deve mantenere una sorta di distanza per poter giudicare gli eventi. Qui c’è un uomo manipolatore, e lo spettatore, per forza, si ritrova a farsi alcune domande. Perché ho voluto affrontare la violenza domestica? Perché è raro trovarla al cinema. Mi sono documentato, e ne ho voluto parlare in modo diverso, affrontando il dramma sia come cittadino che come uomo».

LA VIOLENZA – «Ho svolto un grosso lavoro di ricerca prima di girare L’affido. In Francia, spesso, sono le donne che si occupano di questi casi. Gli uomini, dalle ricerche fatte, negano la loro violenza, non capiscono. Per assurdo, si credono loro stessi vittime, sentendosi legittimati in quello che fanno, persi in quella situazione. E posso ammetterlo: parlando con testimoni, o approfondendo le personalità, non ho mai incontrato un uomo dallo sguardo sincero…».

IL CAMBIAMENTO – «Come si può rispondere alla violenza senza generarne altra? Occorre modificare lo sguardo che abbiamo su di noi. Dobbiamo tornare ad un cambio di idee. Si pensava una volta che in guerra, il sangue versato dagli uomini, era puro, quello delle donne, invece, impuro. Una cosa inconcepibile. In più, i valori tradizionali sono, in parte, un grosso problema. Tutto deriva da questo, da come abbiamo sempre vissuto e creduto di vivere la famiglia…».
OPINIONI | L’affido, il film che sconvolse Venezia nel 2017
- Qui potete vedere il trailer de L’affido:
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