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L’affido, Xavier Legrand e quella storia vera che sconvolse Venezia nel 2017

Abusi, bugie, dolore e un bambino innocente: il folgorante debutto di un attore diventato regista

Il piccolo Thomas Gioria nel ruolo di Julien Besson.

MILANO – Terrificante, allo stesso modo in cui a volte la realtà supera la finzione e ai film non resta che essere pallidi specchi del reale. L’affido – Una storia di violenza, film che segna il debutto alla regia di un attore francese come Xavier Legrand e che sconvolse la Mostra di Venezia tre anni fa dove vinse il Leone d’argento per la regia, è una visione disturbante e diretta sull’abuso famigliare, un film che forse solo il cinema francese poteva elaborare così bene. La storia della famiglia – se così si può chiamare – Besson è la storia di tante altre famiglie. Concentrandosi sulle vicende giudiziarie, scopriamo insieme ai coniugi Antoine e Miriam l’estenuante fatica di attraversare un divorzio, soprattutto se di mezzo c’è un figlio e se il padre di quest’ultimo è un uomo violento e pericoloso.

L'affido
I genitori Léa Drucker e Denis Ménochet ne L’affido.

Ma da dove arriva L’affido? Per scrivere il film Legrand si è ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto, come tanti se ne sentono ai telegiornali, che aveva portato inizialmente in un cortometraggio del 2013 – Avant Que De Tout Perdre, per cui prese anche una nomination all’Oscar, lo potete vedere qui su YouTube – e che ha poi ripreso per il film. La coppia si presenta in tribunale per la custodia del figlio, Julien, e nel corso del dibattimento emergono dubbi e incertezze sulla condotta del padre. Ma non ci sono prove, e come spesso accade le vittime degli abusi non vengono credute. Qualcuno sta mentendo? È il padre ad essere ingiustamente diffamato?

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Il piccolo Thomas Gioria con Menochet.

Così, in mancanza di dati certi, il giudice non può fare altro che decretare l’affidamento condiviso, per cui Antoine potrà tenere con sé il figlio durante i fine settimana. Julien – interpretato da un eccezzionale Thomas Gioria, premiato con il César – non vorrebbe stare con il padre e vorrebbe proteggere la madre. Vittime di un carnefice che spesso si nasconde tra le mura di casa. Dopo aver rischiato di essere uccisa, la madre riesce a scappare con il figlio e a rifugiarsi in un luogo che crede sicuro. Anche se Legrand concede ai suoi protagonisti un finale (relativamente) felice, è implicita l’allusione al fatto che spesso queste storie un lieto fine non lo hanno. Anzi, la cronaca ci ha abituati a tutt’altra conclusione.

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Nel nome del padre: vittima o carnefice?

L’affido – che qui in quest’intervista ci ha raccontato proprio lo stesso Legrand – è un film tanto realistico e potente da avere quasi il sapore di un documentario. Non c’è nessuna drammatizzazione, solo vero e puro terrore. Non usa la violenza domestica per far empatizzare o coinvolgere emotivamente chi guarda, piuttosto la tratta come una questione seria di cui è necessario parlare sempre di più. Inserisce tutto lo spettro della violenza, da quella psicologica a quella fisica, per far comprendere che il tema in questione non ha bisogno di abbellimenti o spettacolarizzazioni. È solo realtà che scorre sullo schermo, a cui è indispensabile mettere un freno. Attualissimo. Potente. Necessario.

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