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TOP CORN | L’opinione: perché Sulla mia pelle è un’opera necessaria

Secco, potente, doloroso, feroce: il film di Alessio Cremonini è un pugno nello stomaco

Indignazione, incredulità, dolore.  Un autentico pugno nello stomaco, ecessario. Sulla mia pelle di Alessio Cremonini è una raggelante e rigorosa messa in scena degli ultimi sette giorni della vita di Stefano Cucchi, incarnato da un irriconoscibile Alessandro Borghi.

Un calvario che si regge soltanto su tutto ciò che è giuridicamente e istituzionalmente accertato: proprio per questo, la visione è scioccante, e attraverso le ombre di carabinieri, giudici, infermieri, medici, avvocati getta una luce mesta e livida su un Paese assassino, inetto di fronte allo spegnimento graduale di un ragazzo di trentuno anni, morto non per cause naturali mentre è affidato alla responsabilità degli organi dello Stato.

Il film è la fotografia più clamorosa e paradossale di una Nazione organica e organizzata che assiste compatta a un corpo che si spegne, senza assistere: tutto ciò che dovrebbe proteggere comporta violenza e confusione, dalle forze di polizia alle regole che dettano il sistema processuale e quello carcerario. Cremonini rifugge ogni tentazione di retorica e di denuncia, adottando uno sguardo distante e asettico che lascia attoniti: memorabile il fuoricampo finale, in cui la macchina da presa riprende il volto di Ilaria (Jasmine Trinca), la sorella di Stefano, mentre le urla straziate dei genitori (straordinari Max Tortora e Milvia Marigliano) riconoscono il cadavere magrissimo e tumefatto del figlio.

Il nostro cinema si presenta così nella sua veste migliore e Sulla mia pelle certifica la ricerca di un approccio inedito, secco e sgradevole, che non teme di suscitare reazioni di rigetto per la crudezza di temi e immagini, facendo riemergere uno scandalo italiano che non potrà mai essere risarcito. Un’opera preziosa, che partendo dalla tragedia di un singolo arriva a demolire le basi portanti del nostro vivere.

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