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L’Uomo del Labirinto | Toni Servillo, Dustin Hoffman e l’arte dell’illusione

Donato Carrisi torna alla regia con un film ambizioso e riuscito in cui dà vita al suo mondo letterario

Toni Servillo e Dustin Hoffman nel banner del film

MILANO – Due luci rosse riflesse dietro un finestrino e l’adolescente Samantha Andretti svanisce nel nulla. Riemergerà, in una notte afosa come mai prima, quindici anni dopo dal buio che l’aveva inghiottita mentre andava a scuola. Ricoperta di sole ferite, segni indelebili delle sofferenze subite, viene affidata al Dottor Green (Dustin Hoffman), un profiler che dà la caccia ai mostri nella mente delle vittime, facendo riaffiorare ricordi e dettagli essenziali alle sue indagini. Ma Green non è l’unico sulle traccie de L’uomo del Labirinto, il carceriere di Sam. Bruno Genko (Toni Servillo), investigatore privato con pochi giorni da vivere e un rimorso nel cuore, vuole archiviare quel caso rimasto aperto troppo a lungo.

Toni Servillo è Bruno Genko

Dopo il David di Donatelo per La ragazza nella nebbia, opera prima tratta dal suo romanzo omonimo, Donato Carrisi torna alla regia. E anche questa volta lo fa adattando per il grande schermo un suo libro. Uno dei quattro volumi che compongono il ciclo di Mila Vasquez iniziato con Il suggeritore e concluso con Il gioco del suggeritore. Come per il suo esordio, anche L’uomo del labirinto è intriso di variegati rimandi cinematografici, da David Lynch a Donnie Darko fino a Dario Argento, che contribuiscono, insieme alla sceneggiatura, a creare un universo filmico sospeso in un non-luogo.

Dustin Hoffman e Toni Servillo in una scena del film

Merito anche di fotografia (Federico Marieso), trucco (Alessandra Giacci) e scenografia (Tonino Zera) che, insieme, danno vita al mondo letterario immaginato da Carrisi. A partire da quel labirinto /prigione fatto di luci e ombre, pericoli e ricompense in cui il tempo per Samantha non esiste più. Lo stesso tempo che sta per scadere a Genko, il cui unico desiderio è di (ri)vivere «un giorno banale in cui ti scordi di essere vivo», mentre si avvicina sempre di più alla soluzione di quel rebus che l’ha tormentato per anni.

Dustin Hoffman sul set del film

E come in ogni enigma che si rispetti, Carrisi dissemina la narrazione di indizi utili alla sua soluzione per arrivare ad un climax in cui tutte le illusioni messe in piedi crollano sotto il peso della realtà che ribalta ogni nostra ipotesi. L’autore e regista ci conduce così nel suo labirinto, disorientandoci e confondendoci come Bunny, «il coniglio con due cuori rossi al posto degli occhi», per poi mostrarci il vero volto della storia nascosto in bella vista sotto i nostri occhi.

  • Qui la nostra intervista in redazione a Donato Carrisi:

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