MILANO – Il Giappone è da sempre un Paese tradizionalista, conservatore e legato al passato. Un atteggiamento politico e sociale che ha influito su ogni aspetto culturale dell’isola, dalla pittura alla musica, dalla letteratura al cinema. Una società in cui per gran parte del Novecento l’industria cinematografica acclamava lo stile realista e tradizionale di Ozu e la rivoluzione visiva e narrativa di Kurosawa mentre boicottava i lavori della pioniera Tazuko Sakane. Solo molti anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’equilibrio è iniziato a spostarsi verso una maggiore possibilità da parte delle donne di operare nel mondo del cinema e oggi, sebbene le cineaste siano ancora poche, il loro lavoro (premiato anche all’estero) sta costruendo i presupposti per un equilibrio sempre più paritario. La regista più rappresentativa di questo cambiamento? Naomi Kawase, che dopo anni di corti e documentari, nel 1997 ha esordito con Suzaku con cui vinse la Camera d’Or a Cannes.
Una carriera prolifica proseguita poi negli anni con ottimi film come Still the Water, Sweet Bean – Le ricette della signora Toku (su MUBI) e altri riconoscimenti in tutto il mondo, fino ad arrivare al suo undicesimo lungometraggio, True Mothers, a rappresentare il Giappone nella sezione Film Internazionale agli Oscar. Cos’è True Mothers? Una profonda e delicata riflessione sulla maternità, sul ruolo della madre e sul valore della famiglia in un contesto chiuso e tradizionale come quello del Giappone. Ma andiamo con ordine: Satoko e Kiyo sono una coppia sposata, si amano e insieme sono felici, ma non riescono a sancire il loro amore con l’arrivo di un figlio. Il marito è sterile e il fatto di non poter avere figli li fa progressivamente cadere in uno stato di profonda tristezza.
Che fanno? Provano in ogni modo a cambiare questa situazione di disagio e impotenza, ma ogni tentativo sembra essere vano, almeno finché non fanno conoscenza di un ente no profit che accoglie le madri che non possono prendersi cura del proprio figlio e danno la possibilità a coppie come loro di adottarli e garantirgli un futuro. Satoko e Kiyo insieme decidono così di adottare un bambino, Asato, nato da una ragazza delle scuole medie costretta a mandarlo lontano dai genitori. Satoko lascia il suo lavoro e con il marito sembra aver la possibilità di esaudire il desiderio di avere una famiglia.
Sei anni dopo la vita della famiglia prosegue in modo stabile e sereno, il bambino conosce già la verità sulla sua nascita, Kiyo è un padre presente anche se lavora molto e Satoko è una madre premurosa, che ha donato la sua intera vita a crescere e curare il bambino. La loro stabilità viene però minacciata quando la madre riceve una chiamata da Hikari, la madre biologica, che vuole indietro il bambino e li minaccia chiedendo dei soldi. Le due madri decidono così di incontrarsi, ma Satoko non sembra riconoscere la ragazza che aveva incontrata sei anni prima. Ma allora chi è la donna che si è presentata a casa sua? È Hikari oppure un’altra persona? E perché è venuta a reclamare il bambino dopo così tanto tempo?
Quello che colpisce di più nel film di Naomi Kawase è la delicatezza nel mostrare e raccontare una storia emotivamente tanto complessa e piena di sfaccettature, l’attenzione maniacale nei dettagli e l’enorme spazio che lascia ai personaggi di evolversi e costruirsi senza nessuna fretta. True Mothers (su Prime Video e Apple TV+) è una storia che non viene raccontata in modo didascalico e cronologico, ma continua ininterrottamente ad avanzare e riavvolgere il nastro del racconto per approfondire le vicende della coppia sposata e di Hikari, i due pilastri fondamentali del film.
Kawase fa emergere il dolore lancinante di una madre, la frustrazione di un marito non virile che addirittura a chiedere alla donna che ama di farsi lasciare talmente è profondo lo smacco sociale a cui devono andare incontro, in un Paese conservatore dove lo status sociale è ancora (troppo) al centro dell’attenzione. I due decideranno di rimanere insieme e se da un lato loro riusciranno ad ottenere la gioia che tanto desiderano, dall’altro Hikari affronterà il percorso inverso al loro. Una ragazza di quattordici anni incinta, costretta dai genitori a non dirlo a nessuno per paura del giudizio altrui e a dare via il figlio, una ragazza incapace di riprendersi da un trauma così profondo e lancinante, posta di fronte a problemi e situazioni più grandi di lei che la porteranno a tornare dove quel dolore è nato.
Con True Mothers la regista analizza tutte le sfumature della maternità. Satoko e Hikari sono due personaggi complementari, che rappresentano l’infinita gioia di essere madre e l’incolmabile tristezza di non poterlo essere. Entrambe attraversano questi due poli, si scambiano i ruoli, giocano in un mondo dove non esistono colpe, ma solo cause e conseguenze. Conseguenze da accettare e subire perché il mondo è – semplicemente e maledettamente – sbagliato. Sono però unite da un filo invisibile che le farà incontrare in un finale pieno di malinconia, lacrime e sentimenti vitali. Naomi Kawase costruisce un film formalmente e tecnicamente perfetto, in cui i silenzi e gli sguardi sono il centro focale, dove la musica incredibile e delicata del compositore Akira Kosemura regala un’atmosfera unica e indelebile. E se ancora c’era qualche dubbio, adesso la regista è senza dubbio uno dei talenti più grandi del cinema orientale. Non perdetelo.
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Qui potete vedere il trailer del film di Naomi Kawase:
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