MILANO – Ma che cos’è il foxtrot? Il foxtrot è una danza che ha una particolarità: riporta sempre al punto di partenza. Esattamente come Israele, che non riesce mai a uscire da una guerra eterna, circolare, da tramandare di generazione in generazione. Di padre in figlio, dal 1948 in poi come evidenzia anche lo stato atroce degli ultimi diciotto mesi. In Foxtrot – La danza del destino di Samuel Maoz – meritatissimo Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia qualche anno fa, era il 2017 – si raccontano l’ereditarietà del sangue, il trauma della perdita e l’orrore del conflitto bellico. Un war movie in tre atti ambientato quasi sempre in interni, che possiede i segni distintivi del dramma famigliare.

Nel primo atto, Michael Feldmann è un architetto (lo straordinario Lior Ashkenazi, uno degli attori più popolari del cinema israeliano) che riceve da emissari militari la notizia della morte del figlio Jonathan (Yonaton Shiray) e lo shock della perdita viene vissuto quasi interamente in spazi rigorosamente borghesi e simmetrici. Nel secondo, si mostra la quotidiana sopravvivenza di soldati bloccati in un checkpoint in mezzo al nulla, dentro a un container che sta pian piano sprofondando nel fango, tra ripetitivi turni di guardia e innocui cammelli. Nel terzo, si torna nuovamente a elaborare il lutto, a riflettere sull’ineluttabilità del fato e sull’assurdità della violenza dentro la casa dove abitano i genitori del ragazzo caduto durante l’adempimento del suo dovere militare.

Samuel Maoz – alla sua seconda opera dietro la macchina da presa dopo il Leone d’oro vinto nel 2009 con Lebanon – si tiene però ben distante dallo strazio, dalla retorica, dal tono lacrimevole e arrabbiato, e concede almeno un momento di pura poesia e leggerezza nella scena dell’esilarante racconto della buonanotte di Jonathan agli altri commilitoni, che riprende un episodio goliardico e “sporcaccione” del padre in gioventù. Come nel ballo del titolo, quindi, i personaggi del film si muovono e continuano a provare differenti posizioni per affrontare il destino e mettersi in relazione con il vuoto, ovvero con il dolore, le perdite e i sensi di colpa.

Foxtrot risulta così uno dei film più preziosi, originali e potenti sulla condizione israeliana di perenne tensione che ripetutamente deflagra in morte, non a caso Maoz a vent’anni era nell’esercito ed era in uno dei primi carri armati che invadono il Libano durante l’invasione da parte di Israele nel 1982. E anche per questo non sorprende, purtroppo, che lo stesso Governo israeliano abbia attaccato la pellicola per il suo contenuto politico. Vederlo, quindi, non è soltanto un’opportunità per recuperare uno dei migliori film degli ultimi dieci anni, ma soprattutto un atto dovuto nei confronti del cinema e della libertà d’espressione.
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