ROMA – Padri e figli. La letteratura di Stephen King, al di là della paura, riflette da sempre su molte tracce narrative e tra queste, quella del rapporto complesso, traumatico e colmo di sfumature, che intercorre tra padri e figli. Ripensiamo a Shining, il romanzo, scordando per un attimo il film, divenuto poi con grande disapprovazione di King, un capolavoro. E ancora a Pet Sematary, Il talismano, It, Il gioco di Gerald, Dolores Claiborne e molti altri, giungendo fino a Scheletri, la terza antologia di racconti di Stephen King – che trovate edita da Sperling & Kupfer (qui) – e che vede tra i titoli proposti La Scimmia, pubblicato dall’autore su Ubris, nel 1969. Quel racconto feroce e adulto, oltreché metaforico, prende ora vita sul grande schermo, afferrato da uno dei nuovi maestri della produzione thriller/horror USA: Osgood Perkins, figlio di Anthony, ovvero il protagonista di Psycho, e la cui madre, Berry Berenson, modella e attrice, morì l’11 settembre 2001 su uno degli aerei finiti contro le Torri Gemelle.

Quinto lungometraggio da regista di Oz, The Monkey segue il clamoroso successo commerciale e critico di Longlegs, considerato a livello unanime, tra i titoli più interessanti e riusciti degli ultimi anni di cinema americano e non solo (ve lo avevamo raccontato qui). Il nuovo film assume quindi su di sé l’inevitabile rischio, derivato dal confronto con il pluripremiato e celebrato predecessore. Come bissare un enorme successo autoriale, esplorando nuovamente l’horror? Facendo tutt’altro, rintracciando nuovi sguardi e battendo nuove vie. Sembrerebbe essere questa la risposta di Perkins, che immergendosi nelle oscurità di King, sceglie abilmente di non riproporre alcunché della sua ultima fatica registica, soprattutto in termini linguistici, qui certamente più accessibili e piegati ad
un’idea cinema, non più rarefatta e metafisica, quanto tradizionale, se non addirittura commerciale.

È una proposta horror d’ampio pubblico quella di The Monkey, la cui efferatezza non è osservata mai come elemento d’inavvertito e traumatico shock, né tantomeno come definitiva e adulta consapevolezza della fine. Dunque quel punto di non ritorno e profonda oscurità, insozzato di sangue e membra, animato inoltre dalle grida di disperazione e dal rullo incessante dei tamburi della scimmia. Al contrario, Perkins filma e racconta, sia la violenza, che la paura, come fossero dadi in continuo movimento di un macabro gioco buffo, o meglio, di un’atipica farsa. Il margine per la risata e l’intrattenimento demenziale è ampio, eppure da grande autore qual è, Perkins semina qua e là, specie nella prova dolente e in sottrazione di Theo James (quella nei panni solitari di Hal, non del gemello Bill, inevitabilmente più maligno, aggressivo e vendicativo) la riflessione adulta e profondamente angosciante, che in qualche modo anima da sempre la sua filmografia.

Cos’è che rende padri? Il puro e semplice dato biologico? Oppure la capacità di restare, o peggio, fuggire, augurandosi la salvezza di chi si è messo al mondo? Ecco perché The Monkey, ancor prima d’essere una feroce, inquietante ed esilarante caccia ad una scimmia assassina (non è reale, è “soltanto” un pupazzo), è di fatto una tragica e adulta parabola sul significato profondo dell’abbandono, dell’appartenenza e della solitudine. Ad affiancare ancora una volta gli scenari sospesi, bui e fortemente evocativi, ormai tipici del suo cinema e qui perfettamente allineati alla letteratura di King, un’America di provincia desolata – e desolante -, priva di speranze, disillusa e nient’affatto spaventata dalla morte. Nemmeno dalla più brutale, nemmeno dalla più inspiegabile. Curiosamente, il respiro narrativo di The Monkey sembrerebbe rifarsi talvolta, ad una certa dimensione di post apocalittico, di fine appena sopraggiunta, rispetto alla quale né l’allegra famiglia, né tantomeno la scimmia possano fare granché.

Al pari di The Road di Cormac McCarthy, divenuto in seguito un grande film, anche qui un padre e un figlio attraversano un’America degli ultimi, abbandonata a sé stessa e alla solitudine – si tratta di affetti o anche di politica? -, in nome di un’ideale più alto, il ricongiungimento, nonostante i drammi, le incomprensioni e la morte incontrata sulla strada. Non sottovalutate l’apparente leggerezza di tono e linguaggio di The Monkey, Osgood Perkins l’ha fatto di nuovo, seppur più sottile, camuffato e buffo. Proprio come lo è il pupazzo della scimmia, vero e proprio protagonista del film. Un giocattolo che fa sorridere e che qualche attimo dopo, toglie la vita nella più orrenda delle maniere. Crani e arti tranciati, gole recise e interiora strappate, orrendamente e goffamente esposte, come divertimento. Un mix letale e memorabile di ferocia, disgusto e grande divertimento con una grande prova doppia di Theo James che, di fatto, risolleva e rilancia la sua carriera in 108 minuti di cinema.
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- VIDEO | Qui il trailer di The Monkey:
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