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That Dirty Black Bag | Dominic Cooper e quella serie che prova a riconquistare il West

Otto puntate e un grande cast per una serie affascinante e ambiziosa. Tra Leone e Tarantino…

That Dirty Black Bag
Dominic Cooper nel ruolo dello sceriffo in That Dirty Black Bag.

MILANO – Arriva finalmente anche in Italia in esclusiva streaming su Paramount + That Dirty Black Bag, la serie western di otto puntate prodotta da Palomar, ovvero la casa madre del Il commissario Montalbano, della serie Il nome della rosa e – passando ai film – anche produttrice de La paranza dei bambini e Volevo nascondermi. Siamo a Green Vale, cittadina sabbiosa nel cui saloon l’acqua costa più del whisky, perché è più rara. Le piogge sono scarse, la cascata ha ceduto il terreno al deserto e la siccità colpisce tutti, tanto che i contadini rimasti in zona sono pochi. Ma a mancare è anche un altro bene: l’oro. Finito anche quello, come prima o poi avviene per tutte le limitate risorse del sottosuolo. E così Green Vale, città fondata per sfruttare le miniere, si trascina in una lenta decadenza, tra cinismi e (apparentemente?) vane speranze.

That Dirty Black Bag
Wild Wild West: Dominic Cooper in una scena di That Dirty Black Bag.

In questo scenario si muovono storie parallele e variamente intrecciate: lo sceriffo Arthur McCoy (Dominic Cooper) inflessibile e incorruttibile, la maîtresse Eve (Niv Sultan) e le sue ragazze sempre più a corto di clienti, il contadino Steve (Christian Cooke) dall’incrollabile fede e il cacciatore di taglie Red Bill (Douglas Booth), che che gira con una borsa piena di teste mozzate (quella che dà il titolo alla serie) perché, banale dirlo. «Una testa pesa meno di un corpo». Lo stile, le frasi ad effetto, i personaggi, gli ambienti e alcune scelte registiche richiamano esplicitamente i classici spaghetti western come Per un pugno di dollari e Il buono il brutto e il cattivo. Quasi come se un redivivo Sergio Leone avesse visto Pulp Fiction e Narcos e avesse deciso di giocare provando a far dialogare questi mostri sacri del pop con le loro origini, ben piantate nelle dinamiche del western Anni Sessanta e Setttanta.

That Dirty Black Bag
Douglas Booth, il cacciatore di taglie.

Nella coralità dell’alternarsi delle vicende dei personaggi, il vero protagonista di That Dirty Black Bag sembra però essere il passato, un passato oscuro che perseguita tutti ed è l’unica chiave di lettura della narrazione, attraverso cui lentamente emergono i nodi per spiegare l’intreccio nel suo svolgersi, più o meno come accadeva nel finale di C’era una volta il West, in cui il mistero negli occhi di Charles Bronson si trasformava in ovvietà. E qui non è solo la già citata contrapposizione tra la vecchia Green Vale e la nuova a farci buttare un occhio all’indietro, ma anche le cicatrici di alcuni personaggi, i sogni di altri, gli antichi rancori e, in alcuni casi, gli scheletri nell’armadio che puntata dopo puntata emergono improvvisamente.

That Dirty Black Bag
Guido Caprino nel ruolo di Bronson in un altro momento della serie.

Ma chi è davvero Red Bill? Di cosa si vuole vendicare? E perché lo sceriffo ce l’ha con lui? E, ancora, cosa nasconde Steve? Colpi di scena a non finire e, oltre a Travis Fimmel, attenzione nel cast anche alla bella presenza italiana con Guido Caprino nel ruolo di Bronson (non un nome a caso), in un’apparizione tutt’altro che secondaria, Gaia Scodellaro e Jacopo Rampini. Per chi ama la frontiera, le sparatorie e il western una visione obbligata a fianco di Deadwood e del prossimo Django, una serie molto utile anche per capire a che punto è la riconquista del West all’interno della cultura pop del nuovo millennio…

  • INTERVISTE | Douglas Booth e Guido Caprino raccontano la serie
  • WEST CORN | Quando il cinema incontra il West

La video intervista a Douglas Booth e Guido Caprino è a cura di M. Santacatterina: 

 

 

 

 

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