MILANO – Era almeno dal 2014 – ovvero l’anno di due cult come It Follows e Babadook – che non si percepiva un tale hype intorno ad un film horror. E in effetti, se facciamo eccezione per L’uomo invisibile (che però è anche un thriller-horror) e l’accoppiata Get Out e Noi di Jordan Peele (ma anche in questi due casi il genere non è purissimo) è davvero, davvero, molto complicato trovare negli ultimi dieci o quindici anni un horror riuscito meglio di questo Talk To Me. Esagerati? No. E pensare che i due registi – i gemelli australiani Danny e Michael Philippou – sono due esordienti nel mondo del cinema, seppur già YouTuber di fama mondiale con il loro nome d’arte Rackaracka, con cui da una decina d’anni girano brevi video comici, horror o d’azione raggiungendo anche il miliardo e mezzo di visualizzazioni in tutto il globo (con quasi sette milioni di follower su YT).
Ma andiamo con ordine: siamo in Australia, in una cittadina non meglio identificata (certamente non un centro urbano) e i protagonisti della storia sono un gruppo di adolescenti, come spesso avviene nell’horror americano dai tempi di Carrie. L’incipit del film – seppur girato con maestria e con un piano sequenza che fa pensare proprio a Brian De Palma – sembrerebbe introdurre un classico horror-slasher (la festa, l’alcol, la villa con piscina, il rumore del coltello), ma in realtà Talk To Me – che ha il marchio di qualità di A24 – è molto più di Scream o So cos’hai fatto. I protagonisti infatti non sono gli stilizzati sciocchini che abbiamo visto centinaia di volte nell’horror adolescenziale (soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta), ma sono personaggi autentici con relazioni vere e una complessità che prova a rendere con credibilità le fragilità e le problematiche di quell’età.
La protagonista è Mia (una bravissima Sophie Wilde), ragazza deliziosa e ancora tormentata dalla morte della madre di due anni prima (forse suicida), a causa della quale porta dentro sentimenti e desideri contrastanti. All’inizio del film, infatti, abbandona un padre depresso che fa fatica a ricominciare per trasferirsi a casa dell’amica Jade (Alexandra Jensen) e il fratellino Riley (Joe Bird), che – di fatto – la considerano una sorella acquisita. Tutti bravi ragazzi: nessuno fuma o beve, nessuno prende droghe, nessuno fa sesso nemmeno con il proprio fidanzato. Ma i giovani, anche in Australia, sono comunque sempre a caccia di stimoli, specie quelli dall’animo più inquieto. E così i nostri amici si fanno affascinare da un’esperienza vista sui social, a cui possono accedere tramite alcuni loro amici.
Si tratta di accendere una candela, stringere una mano di ceramica – che si dice essere la mano imbalsamata di una veggente – e pronunciare la formula che dà il nome al film: «Talk To Me». Questo basta per entrare in contatto con gli spiriti dall’aldilà e farsi possedere per novanta secondi da qualcuno di loro. Stupefacente? Sì. Tanto che l’eccitazione della cosa fa sì che diventi un appuntamento fisso per i nostri eroi, che finiscono con trattare la pratica come fosse una droga divertente e innocua. Ma se le anime che di volta in volta li possiedono non sono tutte buone, dall’altro le emozioni di un adolescente rischiano di giocare brutti scherzi, con le ovvie (pesantissime) conseguenze. E così, improvvisamente, il gioco diventa un incubo fatto di polizia, ospedali, sangue, incomprensioni e visioni inquietanti, di quelle che giocano con il subconscio, il represso, l’inconfessabile.
Ma qual è la cosa più sorprendente di Talk To Me? La capacità di far coesistere la leggerezza e la godibilità di un classico film dell’orrore, con il tentativo (riuscito) di farci entrare nelle dinamiche adolescenziali dicendo anche qualcosa sui giovani di oggi, mostrandoci quali sono le dinamiche attraverso cui si possono sviluppare le dipendenze o, in altri casi, la malattia mentale. Nei due registi sembra esserci una profonda conoscenza di quel mondo e una grande voglia di raccontarlo, veicolando dentro un film di genere considerazioni ben più sincere e appassionate di quanto si possa pensare. Buon film, eccellente esordio. Il rischio – visto il finale – è di vedere l’ennesima serie di sequel, con il pericolo di perdere i punti di forza del film, in cambio del puro, ripetitivo e piatto intrattenimento…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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