ROMA – Il 19 ottobre 1984 usciva Stop Making Sense, storico film concerto dei Talking Heads. Una pietra miliare dei documentari rock realizzata da Jonathan Demme. Esattamente quarant’anni dopo, il 19 ottobre 2024, la Festa del Cinema di Roma ospiterà la nuova edizione del film restaurata in 4K, supervisionata da James Mockoski di American Zoetrope, con una colonna sonora totalmente rimasterizzata e curata dal chitarrista dei Talking Heads, Jerry Harrison. Il film-concerto arriverà poi al cinema come evento speciale con Nexo Digital l’11, 12 e 13 novembre per celebrare degnamente il quarantennale accompagnati dal buio della sala e l’energia musicale (e vitale) di David Byrne e il suo folle genio sperimentale dal talento straordinario.

Perché su quel palco è ovunque Byrne. Corre, balla, salta, si dimena. È un moto perpetuo di energia che a quarant’anni di distanza dal 1984 del proprio tempo non smette di stupire, stagliandosi come un imprescindibile punto di riferimento per ogni front-man degno di questo nome. Non a caso è così che definiva sé stesso in relazione alla musica e alla scelta di apparire con il celebre Big Suit (ispirato al teatro giapponese Noh) durante la performance di Girlfriend is Better: «Volevo che la mia testa sembrasse più piccola, e il modo più semplice per farlo era rendere il mio corpo più grande, perché la musica è molto fisica e spesso il corpo la capisce prima della testa».

E parliamoci chiaro: fu un evento cinematografico nel vero senso del termine Stop Making Sense. Non saremmo qui a ricordarne l’importanza artistica altrimenti, e non solo per la componente musicale. A tal proposito: Psycho Killer, Heaven, Burning Down The House, Once in a Lifetime, This Must Be The Place (Naive Melody). Se volete conoscere le basi dei Talking Heads basta vedere il capolavoro musicale di Demme per farvene un’idea. Non ultimo la regia di Demme. Sinuosa, elegante, fluida, perfetta. Alla maniera del musicale Scorsese di L’Ultimo Valzer e Shine a Light, scelse di non mostrare mai le reazioni del pubblico, concentrando l’occhio della cinepresa sul palco dove tutto fu organizzato scenograficamente secondo i voleri di Byrne.

Nessuna luce colorata sul palco ma solo bianche, meno distrazioni possibili sulla scena, tranne che per i lavori dei macchinisti sullo sfondo, nelle prime esibizioni, così da esaltarne l’operato. E poi le esibizioni. In Stop Making Sense, Demme optò per soluzioni d’immagine caratterizzate di inquadrature lunghe e fisse per lo spazio scenico e di figure intere per i musicisti, fatte fluire in un montaggio armonico che non ammette interruzioni. Una scelta che spiegò così in un’intervista in occasione del trentennale: «L’uso di inquadrature estese invece di tagli rapidi è il risultato della mia convinzione che ci sia un grande potere disponibile nel trattenere qualsiasi momento magnifico esteso e lasciare che lo spettatore si coinvolga più profondamente nell’esecuzione in corso invece di interrompere costantemente il flusso con tagli non necessari».

«Troppi tagli di solito indicano una mancanza di fiducia editoriale nei musicisti e nella musica» concluse poi Demme. E d’altronde come sarebbe stato possibile non avere fiducia nei musicisti e in una musica come quella dei Talking Heads. Specie per come Stop Making Sense ce li presenta sul palco: gradualmente, di esibizione in esibizione, con i membri della band che uno alla volta raggiungono Byrne, in modo che Demme potesse regalare loro un ingresso scenico di pura crescita sonora formidabile e calcolata. Un film straordinario quello di Demme, per costruzioni, intuizioni e immagini. Più che un semplice film-concerto, una lezione di storytelling senza tempo.
- ROCK CORN | Buena Vista Social Club, Wenders e Cuba
- VIDEO | Qui con un estratto di Stop Making Sense:
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