in

Rodríguez, Sugar Man, il documentario da Oscar e un uomo che visse due volte

La musica, la scomparsa, il ritorno: Sixto Diaz Rodríguez. Una leggenda da riscoprire al cinema

Sugar Man
Sixto Diaz Rodríguez in arte Sugar Man, scomparso a 81 anni.

MILANO – Uno dei più grandi errori della storia della musica, un vicolo cieco che solo per caso – e per la perseveranza di alcuni fan – non è rimasto chiuso per sempre, dimenticato per sempre. Sixto Diaz Rodríguez, in arte Rodríguez, scomparso a 81 anni, non fu solo un semplice cantautore, ma un miracolo vivente, un uomo che visse due volte (e forse tre). Incise solo due dischi – tra il 1970 e il 1971 – due fiaschi colossali sul mercato americano che lo fecero sparire per sempre prima di essere riscoperto nel 2012 grazie ad un documentario (Searching for Sugar Man di nuovo al cinema con I Wonder Pictures) che vinse l’Oscar e lo fece diventare una leggenda. Anche in quell’America che gli aveva voltato le spalle, idolatrato da personaggi molto differenti tra loro come Pharrell Williams, Susan Sarandon e Michael Moore. Ma chi fu veramente Sixto Diaz Rodríguez, il poeta vagabondo che qualcuno aveva osato addirittura ribattezzare il Bob Dylan latino?

Rodriguez
Rodriguez in una scena di Sugar Man.

Nato a Detroit nel 1942, figlio di immigrati messicani, Rodríguez alla fine degli anni Sessanta venne scoperto in un club del Michigan e portato in studio. La sua musica? Un formidabile miscuglio di Bob Dylan, David Crosby e Tim Buckley, una miscela sonora che colpì subito gli addetti ai lavori, ma non il pubblico che snobbò completamente sia Cold Fact (1970) che Coming from Reality, uscito nel 1971. Finito a lavorare nei cantieri della periferia e archiviata la musica, Rodríguez però non sapeva – no, non poteva saperlo – che nel frattempo quei due album erano stati portati in Sud Africa da un turista americano e avevano iniziato a diventare molto popolari a Città del Capo, divenendo inni contro l’apartheid. «American zero, South African hero», lo definirono negli Stati Uniti, ovvero «Nessuno in America e un eroe in Sud Africa». E proprio dal continente africano ripartì la rinascita di Rodríguez che però la leggenda dava ormai per morto, suicidatosi sul palco durante un concerto.

Rodriguez
Sixto Rodriguez in uno scatto promozionale del 1970.

«È come se fossi nato un’altra volta», disse poi commentando la sua nuova vita lui, che dovette il salto verso il successo a Malik Bendjelloul, regista svedese (poi suicidatosi nel 2014) che nel 2012 raccontò tutta la vicenda in un magnifico documentario, Searching for Sugar Man, vincitore dell’Oscar (oggi lo trovate in streaming su IWonderfull, Apple Tv, Rakuten e CHILI). Dopo un passaggio al Sundance di Robert Redford, quel film consacrò Rodríguez anche in terra americana. Da quel momento, il cantante uscì dal cono d’ombra in cui era finito, divenendo un antieroe da riscoprire, definito addirittura il miglior cantautore della sua generazione assieme a Dylan. E su Twitter hanno poi iniziato a spuntare fan celebri, da attori e registi come Ron Howard, Michael Moore, Jonah Hill e Susan Sarandon a cantanti come Kid Rock, Pharrell Williams, i Black Keys e Sara Bareilles, senza dimenticare (addirittura) Lance Armstrong, che nel 2012 si lanciò in una serie di lodi alla musica e alla forza artistica di Rodríguez.

Rodriguez
Un dettaglio del documentario diretto da Malik Bendjelloul.

Occhiali scuri, cappello schiacciato in testa e fascino zingaro, Rodríguez negli ultimi anni era passato anche dall’Italia, accompagnato dalla sua infinita carovana, una famiglia allargata di quasi venti persone, comprese le tre figlie, Regan, Sandra e Eve, e tutti i nipoti. Personaggio fuori dal tempo, non possedeva smartphone, computer e nemmeno una macchina, e ormai ci vedeva molto poco a causa di un glaucoma che lo stava rendendo cieco. Paradosso vivente, abitò per quarant’anni nella stessa casa di Detroit e solo negli ultimi anni aveva iniziato a raccogliere una cospicua quantità di denaro («Anche troppi», disse) che subito regalò a figlie e amici. «Soldi? Per me basta avere del cibo, dei vestiti puliti e un letto». Se potete recuperate il documentario e riascoltate canzoni come Sugar Man, Crucify your mind e I Wonder, ma soprattutto tenete in mente la grande lezione di Sixto Diaz Rodríguez: non conta quante persone ti applaudono, conta la qualità di quello che fai. Il tempo gli ha dato ragione. Buon viaggio Sixto.

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un Commento

Marianna Fontana e Federico Cesari durante la nostra conversazione a proposito di L'ultima volta che siamo stati bambini di Claudio Bisio

VIDEO | Marianna Fontana, Federico Cesari e L’ultima volta che siamo stati bambini

Sugar Man di Malik Bendjelloul, di nuovo al cinema con I Wonder

VIDEO | Tra il Sudafrica e l’Oscar: una clip esclusiva del documentario Sugar Man