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C’era una volta…a Hollywood | Quentin Tarantino: «Il cinema? Può influenzare la storia»

Il 1969, i titoli di una volta, quella maglietta nera: il regista racconta a Roma il suo nono film

Tarantino sul red carpet di Roma.

ROMA – Appena gli diciamo il titolo italiano di The Wrecking Crew scoppia in una fragorosa e calda risata. Proprio non riesce a resistere a quel Missione Compiuta Stop. Bacioni Matt Helm con cui chiamammo il film di Phil Karlson, dove recitava una svampita e irresistibile Sharon Tate. «Mi ricordo che vidi quel film in un cinema, con il pubblico impazzito per i calci che tirava Sharon», ha raccontato ad Hot Corn Quentin Tarantino, arrivato a Roma per portare il suo nono lungometraggio, C’era una volta…a Hollywood, in cui racconta – a mo’ di fiaba – storie e personaggi della Los Angeles del 1969, a cavallo tra due Epoche storiche e cinematografiche opposte.

Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie e la produttrice Shannon McIntosh. Foto D. Panattoni

«Molte cose di cui parlo nel film le ho viste davvero. I film restavano in sala per molto tempo, addirittura quasi per un anno. Il ricordo di Sharon Tate» – interpretata da Margot Robbie, anche lei a Roma insieme a Leonardo DiCaprio per incontrare la stampa – «così carina e così affascinante, ma protagonista di gag assurde, mi ha dato l’ispirazione per girare diverse scene», ha proseguito Tarantino, con la sua t-shirt nera su cui spicca la scritta “brutalism”. Ma, in fondo, dalle sue Iene, il regista di Pulp Fiction è profondamente cambiato e, quella sua ondata di violenza brutale, estetica e narrativa, oggi, lascia spazio alla riflessione nostalgica di un tempo e di un’epoca lontana.

Un momento della conferenza stampa di C’era Una Volta A Hollywood. Foto Damiano Panattoni

Ed è proprio questo il segreto che si nasconde dietro l’ottimo esordio in USA? «C’era una volta…a Hollywood riesce a fare breccia per tanti motivi», risponde, «è un film unico e, senza dubbio, c’è l’elemento nostalgico». Così, gli chiediamo del suo nuovo omaggio ai film di genere italiani, a cui Leonardo DiCaprio alias Rick Dalton – e il suo stuntman-tuttofare Cliff Boot aka (uno strepitoso) Brad Pitt –, si aggrappa per ridare senso alla sua carriera. «Amo i film di genere, amo l’idea che ha avuto l’Italia di reinventare i vecchi generi per un pubblico nuovo, dal western ai polizieschi, concepiti con occhi diversi. C’è un concetto di lirismo, di eccesso che adoro. Sergio Leone, Bruno Corbucci, Duccio Tessari, Sergio Sollima, sono nati critici, diventati sceneggiatori e poi registi, amanti del cinema».

Leonardo DiCaprio, Quentin Tarantino e Margot Robbie a Roma. Foto Damiano Panattoni

Allora, gli domandiamo quanto profondamente sia cambiato il cinema, dal 1969 di Cielo Drive e di Beverly Hills e delle sale sempre piene. «Il cinema è diverso, ma lo era già dagli Anni Novanta, che sono vicini», continua il regista, divertito per quelle che definisce “tra le più intellettuali domande che gli abbiano mai fatto”. «Una volta la gente si impegnava a creare i set, non si plasmavano in post produzione. Ci sono dei titoli con set meravigliosi, che hanno creato nuovi mondi. Costavano un sacco di soldi, è vero, ma sotto c’era altro. Penso che abbiamo perso un patrimonio enorme, per quanto riguarda l’aspetto artigianale del cinema. Non voglio fare il vecchio, ma gli artigiani di allora stanno sparendo, e come facciamo a mantenere intatta la magia? Il cinema deve essere fatto dalle persone, innanzitutto».

Persone che, davanti o dietro la macchina da presa, sono – nel senso più romantico del termine – capaci di riscrivere il corso della storia e delle vicende raccontate. «C’era una volta…a Hollywood ha concluso la mia trilogia iniziata con Bastardi Senza Gloria e proseguita con Django Unchained. Se il cinema può cambiare la storia? No. Ma può influenzarla».

Qui il trailer di C’era una volta…a Hollywood:

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