ROMA – «Non so perché mi sia lasciato trascinare in questo pasticcio. Non posso chiamarlo altrimenti che un pasticcio». Non usò mezzi termini Alfred Hitchcock nel parlare di Nodo alla gola. Tra le righe del saggio de Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut emerge, infatti, un quadro realizzativo problematico e traballante. Nonostante l’entusiasmo del futuro regista de I 400 colpi, che lo portò perfino ad ammonire il Maestro del brivido per averlo etichettato come un’esperienza stupida, per Hitch c’era poco da salvare in Nodo alla gola tanto dal definirlo: «Un’idea un po’ folle, completamente senza senso». Eppure, nonostante la severità di giudizio del suo autore, rivisto oggi Nodo alla gola è tutt’altro che il pasticcio di cui Hitchcock andava lamentandosi. Piuttosto, un’interessante caso del suo opus: un’unicità.
Una preziosa (e anomala) gemma figlia del precedente “marittimo” de Prigionieri dell’oceano. Ma soprattutto una triplice prima volta: la prima opera in cui Hitchcock figura come produttore, il suo primo film a colori, nonché il primo realizzato, quasi unicamente, in piano-sequenza. Ce ne sono dieci per la precisione. Ognuno da 10 minuti ciascuno, il tempo della durata di proiezione di un rullo di pellicola (TMT – Ten Minutes Take). Sarà poi il montaggio, e qualche piccolo trucchetto di regia, a dar vita alla magia di un’unica inquadratura. Tratto dall’omonima pièce del 1929 di Patrick Hamilton, Nodo alla gola narra di due giovani omosessuali, Brandon e Philip (John Dall e Farley Granger), conviventi nel loro appartamento newyorchese.
Una sera, per il solo piacere del gesto, strangolano un compagno di collegio. Presi da un momento di lucida follia, decidono di nascondere il cadavere in una cassapanca a pochi minuti dall’inizio di un party in cui sono invitati proprio i genitori del morto e la ex-fidanzata. Tra gli invitati, Rupert Cadell (James Stewart), un loro ex-professore. Per meritare, almeno così credono, la sua ammirazione per l’audacia e l’arguzia dell’evento, i due tradiranno il loro segreto in un continuo gioco di doppi sensi e battute. Molteplici le differenze tra opera originaria e adattamento. La più evidente? Riguarda il rapporto tra Brandon e Philip, dinamica relazionale di cui Hitch ci dà ardimentosi rimandi nel linguaggio del corpo degli agenti scenici Dall e Granger, gemelli morfologici ma caratterialmente opposti, con cui sviare il Codice Hays e il suo regolamento di ferro.
Quella più sottotraccia riguarda però la dimensione caratteriale del Rupert di Stewart. Complice infatti la schiera di personaggi benevoli da L’eterna illusione a La vita è meravigliosa passando per Mr. Smith va a Washington e Scrivimi fermo posta, a cui Stewart prestò il volto negli anni, Hitchcock volle ribaltarne l’inerzia rendendolo non più complice del delitto ma simulacro di una morale benevola e giudicante dell’operato delittuoso, più coerente, quindi, con la sua tradizione filmica costruita tra Frank Capra e Lubitsch. Oggi parliamo di Nodo alla gola – che trovate in streaming su NOWtv e Prime Video – come una delle opere più frizzanti e pionieristiche del Maestro del brivido. Eppure, fu proprio la sua carica propulsiva d’innovazione ante-litteram la ragione per cui Hitch non riuscì mai ad innamorarsene veramente.
Forte di uno sviluppo in cui il tempo scenico-narrativo andava a coincidere con quello effettivo – o per dirla alla Hitchcock «La commedia aveva la stessa durata dell’azione» – si scelse di optare per l’unica inquadratura in piano-sequenza come fosse la sola soluzione possibile, quasi in via ontologica. Per Hitchcock questo significava però, tradire tutto ciò in cui credeva nella costruzione della suspense. Rinnegare cioè il concetto di tensione scaturita dalla segmentazione dell’immagine filmica a opera del montaggio: l’ABC del suo cinema, ciò che lo ha reso grande in buona sostanza. Una criticità a cui Hitch pose freno giocando con una profondità di campo esemplare nella fluidità di una macchina da presa fluttuante e dalla soggettiva spaziale e indirettamente onnisciente, quasi fosse un uomo invisibile che gironzola per l’appartamento scrutandone gli angoli e i segreti dei suoi abitanti.
Ne emerge un racconto atipico anche in termini narrativi. Un thriller sui generis reso nella forma del kammerspiel dove Hitch lascia trapelare acute teorizzazioni sulla valenza dell’omicidio e sulla trasvalutazione dei valori della vita umana. Tra l’Übermensch/oltreuomo nietzschiano e l’assassinio come forma d’arte di De Quincey, si consuma un delitto perfetto ma tradito, tuttavia, dalla fallibilità della natura umana. Qui declinata, tra la sociopatia sprezzante di Brandon e i laceranti sensi di colpa di Philip. Un folle pasticcio Nodo alla gola. Un’idea (forse) senza senso nella sua epoca di riferimento ancora poco abituata alle manipolazioni e innovazioni narrative tipiche del cinema moderno americano, e proprio per questo inesorabile nel suo vagare dentro e fuori dal tempo.
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