Alice Lanzani ROMA – Molto prima di Wonder Woman, dei budget stratosferici e della fama mondiale che l’ha trasformata in una delle registe più ricercate e influenti del nostro tempo, Patty Jenkins esordì sul grande schermo con un film, Monster, girato in meno di 30 giorni e con un costo, bassissimo per gli standard di Hollywood, di “soli” dieci milioni di dollari. Protagonista del film un’irriconoscibile Charlize Theron (Premio Oscar per la sua interpretazione), ingrassata e appesantita dal trucco per poter dare voce e corpo ad Aileen Wuornos. Una donna condannata a morte e giustiziata nel 2002 per l’omicidio di sei uomini commessi tra il 1989 e il 1991.
Una storia vera, dolorosa, mostruosa. Come l’appellativo che i media statunitensi affibbiarono alla Wuornos, “il primo serial killer donna” della storia americana. Lei, prostituta, al processo si dichiarò colpevole ma si appellò alla legittima difesa. Per Monster, la Jenkins, nella doppia veste di regista e sceneggiatrice, prese spunto da due documentari di Nick Bromfield – The Selling of A Serial Killer e Aileen: Life and Death of A Serial Killer – oltre che dagli articoli di giornale e dai servizi realizzati negli anni successivi al suo arresto. Ma l’elemento più importante furono le lettere la Aileen scrisse dal carcere in attesa di essere giustiziata per iniezione letale.
Nata da una madre adolescente e un padre schizofrenico che si suicidò in prigione con l’accusa di violenza su minori, Aileen venne affidata ai nonni materni. Ma per lei e suo fratelli quegli anni tutto furono tranne che sereni. Violentata da un amico di famiglia, la ragazze rimase incinta e fu costretta a mettere al mondo un bambino poi dato in affidamento. All’indomani della morte della nonna, il nonno la caccio fuori di casa e lei, per sopravvivere, iniziò a prostituirsi. Dalla metà degli anni Settanta alla metà degli Ottanta fu un susseguirsi di denunce, arresti e furti accompagnati da un matrimonio durato solo nove settimane e l’incontro con Tyria Moore, una cameriera conosciuta in un locale gay con la quale iniziò una relazione.
A fine novembre del 1989 Aileen commise il primo delitto, quello del cliente Richard Mallory, al quale ne seguirono altri ritrovati tutti con molteplici proiettili di una calibro 22 in corpo. Solo al quarto omicidio l’investigatore assegnato al caso, Tom Muck, ipotizzò che potesse trattarsi di un serial killer trovando analogie con gli altri crimini. Venne così instaurata una task force e delineato il profilo del killer: una prostituta che adescava clienti per poi ucciderli. Le indagini presero una svolta quando la Wuornos depositò una videocamera appartenuta a una delle sue vittime a un banco dei pegni lasciando così delle impronte digitali che furono confrontate con quelle repertate su una scena del crimine.
Come raccontato in Monster, Aileen venne arrestata per un reato, porto d’armi abusivo, che non sarebbe mai stato sufficiente per dare il via a un processo. A quel punto entrò in gioco la compagna della Wuornos, Tyria. La donna nel corso di un interrogatorio confessò i crimini della compagna che, nel corso di una telefonata – nonostante avesse capito di essere intercettata – ammise gli omicidi per scagionarla da ogni accusa. Durante il processo il giudice rigetto l’attenuante della violenza – gli omicidi sarebbero avventi dopo dei tentativi di violenza da parte dei clienti nei confronti di Aillen – e condannò a morte la donna. Il film della Jenkis, senza giustificare gli omicidi, ha però saputo mettere in luce una vita fatta di miseria e continui soprusi vissuti da Aileen Wuornos nel corso di tutta la sua esistenza (di)mostrando che non era l’unico “mostro” di questa storia.
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