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Minari | La saga familiare di Lee Isaac Chung che punta dritto al cuore (e agli Oscar)

Un film intimo e personale ma capace di raccontare la potenza della diversità. Dal 26 aprile al cinema

minari

ROMA – Qualche mese fa vi avevamo raccontato (qui) della polemica scoppiata in America quando Minari era stato candidato ai Golden Globe solo come Miglior film in lingua straniera. Una nomination (poi vinta) che ha portato con sé una serie di tweet e post di protesta perché, di fatto, il film di Lee Isaac Chung veniva escluso dalle altre categorie a causa dei suoi dialoghi, quasi interamente in coreano. Avevamo azzardato chiedendoci se Minari non fosse stato realizzato nell’anno sbagliato, rischiando di essere penalizzato anche dagli Oscar. Beh, ci sbagliavamo. Perché l’Academy ha candidato il film a 6 statuette, tra cui quella a Miglior Film. E forse Minari, con il grido di “Stop Asian Hate” che sta attraversando gli Stati Uniti, non poteva essere realizzato in un momento più adatto di quello che stiamo vivendo.

Minari
La famiglia Yi

Primo film a riaprire simbolicamente i cinema il 26 aprile grazie ad Academy Two – che lo scorso ha portato in Italia un altro film da Oscar, Parasite di Bong Joon-ho – Minari racconta la storia di una famiglia coreano-americana, gli Yi, che negli anni Ottanta dalla California si trasferisce nel rurale Arkansas per inseguire il sogno del capofamiglia Jacob (Steven Yeun): quello di creare una propria fattoria per coltivare verdure coreane. Un sogno visto con scetticismo dalla moglie Monica (Han Ye-ri) preoccupata per i sacrifici, lo sforzo economico e l’isolamento in cui è confinata la sua famiglia composta anche dai figli Anne (Noel Kate Cho) e David (Alan Kim). Una solitudine mitigata dall’arrivo dalla Corea della madre Soonja (Yoon Yeo-jeong) che irrompe nella placida quotidianità del piccolo David con i suoi modi insoliti.

Una scena di Minari

Presentato al Sundance 2020, Minari ha attraversato un anno complesso per l’industria cinematografica facendosi strada con una storia apparentemente molto semplice ma capace di raccontare quella ricchezza culturale che costituisce la colonna vertebrale degli Stati Uniti. Partendo da elementi (semi)autobiografici – la sua infanzia trascorsa in una fattoria – Lee Isaac Chung ha realizzato un film molto intimo e personale ma, parallelamente, capace di raccontare la potenza della diversità e come questa sia il concime che ha permesso agli Stati Uniti (ma potremmo parlare del mondo intero) di germogliare.

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Nonna Soonja insegna ai nipoti a giocare a carte

Ne è un esempio quella nonna che «non sa neanche cucinare i biscotti» e ha un debole per le carte e la lotta libera. Lasciandosi alle spalle il suo Paese per amore della figlia porta con sé dei semi di minari, un’erba coreana in grado di crescere ovunque la si pianti. Una metafora poetica di quello che gli Yi, nonostante le difficoltà – e milioni di altre famiglie prima e dopo di loro – cercano di fare in quel pezzo di terra che chiamano casa. Jacob vuole solo che i suoi figli lo vedano riuscire in qualcosa. È pronto a perdere tutto pur di non perdere con se stesso ai loro occhi.

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Una scena di Minari

Lee Isaac Chung immaginava che Minari sarebbe stato il suo ultimo film prima di accettare una cattedra che gli era stata proposta in un’università dello Utha. Quel piccolo film fatto di scene di vita quotidiana, di conflitti casalinghi e bambini adorabili e dispettosi sarebbe stato la sua eredità cinematografica. Il destino – o forse la testardaggine degli Yi – ha scelto diversamente (sarà lui a dirigere l’adattamento live-action di Your Name) in virtù di una storia che parla proprio di eredità (culturale), di accettazione e tenacia. Prodotto dalla Plan B Entertainment di Brad Pitt, il film targato A24 è una piccola saga familiare che punta dritto al cuore senza voler diventare un Manifesto. Un film che parla di vita e di come si possa tornare a fiorire. Ovunque.

Qui potete ascoltare un brano della colonna sonora del film:

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