ROMA – Non si può di certo dire che Alex Garland non sia un regista coraggioso. I suoi film (e serie TV) si poggiano sempre su delle sceneggiature capaci di lasciare un segno nel pubblico. Che sia di disturbo, terrore o fastidio poco importa. Perché dietro quelle sensazioni di disagio si cela la capacità di un regista di raccontare delle storie destinate a tenere l’indifferenza il più lontano possibile, riuscendoci. È il caso della sua terza regia, Men, horror psicologico intriso di riferimenti alla tradizione del folk britannico che, dopo il passaggio alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, arriva ora in sala andando diretto, fin dal suo titolo, nella direzione di un racconto attualissimo.

Al centro della storia Harper (Jessie Buckley), giovane donna che, all’indomani del suicidio (?) del marito deciso a togliersi la vita come ripicca per la volontà della donna di divorziare, lascia Londra per affittare una casa in campagna. Perseguitata dai sensi di colpa per quel gesto spera di trovare un po’ di pace lontana dalla città e da un appartamento zeppo di ricordi. Ma dai boschi sembra materializzarsi qualcosa o qualcuno che inizia a perseguitarla e che ha il volto di Rory Kinnear chiamato a moltiplicarsi in più ruoli, tutti persecutori. L’iniziale inquietudine si trasforma in un incubo con cui Alex Garland mette in scena i ricordi dolorosi e le paure di Harper mentre cerca di raccontare il senso dell’orrore di essere uomini e mettere in scena le loro colpe. Quelle di tutti gli uomini.

Men è un tripudio di allegorie e metafore e di generi che si fondono tra dramma, humor ridicolo e grottesco per confluire in una riflessione sul dolore che ci portiamo dentro e quello che prova a scalfirci dall’esterno. Come per Ex Machina, Annientamento e Devs, anche qui il regista affida il cuore della storia ad una figura femminile per un film naturalmente influenzato da quello che è accaduto nel mondo dalla nascita del #MeToo e dal dibattito femminista. Ma Men è anche un film sull’interpretazione e il punto di vista che cambia continuamente in base a come chi quell’esperienza o evento lo interpreta. Alex Garland vuole che il pubblico trovi la sua sua interpretazione mentre vediamo il film svolgersi attraverso la percezione che la stessa Harper ha della sua di storia.

Sicuramente non il film più riuscito di Garland ma forse quello che più si spinge all’estremo, con un finale, come quello di Annientamento, destinato a dividere e a creare dibattito. Men, con la sua colonna sonora evocativa, l’uso raffinato degli elementi folk e biblici, l’atmosfera di perenne inquietudine e la preponderanza del verde e del rosso come colori dominanti, è anche un’opera cinematografica dalla potenza visiva innegabile. Un film imperfetto ma dal quale è impossibile allontanarci con indifferenza perché capace di mettere in scena le nostre paure, i nostri dolori e, sopratutto, i nostri orrori.
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La video intervista ad Alex Garland è a cura di Manuela Santacatterina:
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