MILANO – Il regista sudcoreano Bong Joon-ho è sbarcato in occidente con Snowpiercer, primo progetto in inglese che ha convinto la critica e lo ha lanciato in un’industria fino a quel momento per lui sconosciuta. Dopo questa apertura verso un’altra cultura, un modo diverso di vedere il cinema e un ulteriore film come Okja prodotto in America, Bong Joon-ho decide di tornare in Corea del Sud, prendere tutto quello che ha imparato e racchiuderlo in un progetto scritto, diretto e prodotto da lui: Parasite. Il film, vincitore della Palma d’oro a Cannes e di quattro premi Oscar, è un capolavoro di regia e sceneggiatura, una storia che mette in luce le contraddizioni e i contrasti di uno stato in bilico tra passato e futuro. Per apprezzare però a pieno gli ultimi film di Bong Joon-ho sono essenziali i tasselli precedenti, dove ha esplorato il genere della fantascienza horror con The Host, la commedia con il primo lungometraggio Peullandaseu-ui gae, il thriller familiare con Madre e il thriller noir/poliziesco con Memorie di un assassino.
Quest’ultimo è il primo vero successo per il regista sudcoreano, uno dei film che ha incassato di più in patria l’anno di uscita (2003), basato su una storia vera e più invecchia più viene annoverato come il suo film più riuscito, che insieme a Parasite si inserisce nei capolavori orientali del ventunesimo secolo. 23 Ottobre 1986, in una piccola città di campagna della Corea del Sud viene trovato il corpo senza vita di una ragazza, legata e gettata in un canale lungo uno dei tanti campi. La polizia inizia immediatamente le indagini, ma dopo pochi giorni viene trovato un’altra ragazza morta e la città cade in un forte stato di preoccupazione. La squadra investigativa, capitanata dal detective Park Du-man, è impacciata e impreparata ad affrontare una situazione così delicata. Non riesce ad isolare le scene del crimine perdendo così tracce importanti, cercano di falsificare impronte e prove sensibili per incastrare un ragazzo malato di mente che è stato visto seguire una delle ragazze per chiudere il prima possibile le indagini. Ad aiutarli arriva un giovane detective da Seul, Seo Tae-yun, l’unico intenzionato a lavorare seriamente al caso.
Il nuovo arrivato capisce immediatamente che i due omicidi sono collegati, entrambi sono avvenuti in una notte di pioggia, le vittime indossavano qualcosa di rosso e sono state strangolate con la loro biancheria intima, si tratta quindi di un serial killer. I due investigatori però non riescono a collaborare e continuano a litigare sui metodi da usare e i sospettati da interrogare, ma vengono richiamati all’ordine perché ha iniziato a piovere e questo significa un altro potenziale omicidio. La squadra organizza un’esca, far uscire e sorvegliare una ragazza vestita di rosso nella speranza che il killer si palesi, ma non succede niente e la mattina dopo trovano un’altra vittima. È però una donna della squadra che riesce a raccogliere il primo vero indizio: appassionata di un programma radio ricorda che ogni sera in cui è avvenuto un omicidio un uomo misterioso ha chiesto di mettere sempre la stessa canzone tramite una lettera in cui dice di sentirsi solo e triste.
I detective decidono di sorvegliare l’ultima scena del crimine e trovano un uomo masturbarsi su della biancheria intima, ma si fanno scoprire e lo fanno scappare. Dopo un lungo inseguimento riescono ad arrestarlo e interrogarlo, ottenendo anche una confessione estorta con una rude violenza, ma la solita canzone risuona alla radio e quindi il serial killer è ancora libero di uccidere le sue innocenti vittime. I detective dovranno affrontare un uomo invisibile, che non lascia traccia, neanche una vera prova a cui appigliarsi. Un viaggio dentro qualcuno che non si mostra, che resta invalicabile, fino ad un confronto finale che lascia spiazzati e senza fiato, alla ricerca di una risposta che sembra non poter mai arrivare. Memorie di un assassino è un thriller poliziesco costruito alla perfezione, con una sceneggiatura sempre brillante, senza cali di ritmo e in grado di tenere altissima la tensione fino all’ultimo fotogramma. Una storia che mette in mostra le luci e le ombre di chi è dalla parte della giustizia, di chi dovrebbe essere dalla parte del bene e del giusto, una storia che riflette sul concetto di verità, di cosa serve realmente per decretare la responsabilità di qualcuno, una lucida analisi dell’ambiguo confine tra innocenza e colpevolezza. Cosa decreta veramente il giudizio verso qualcuno? Uno sguardo? Una vera prova che lo incastri?
Il rischio è che una persona in grado di nascondere le sue tracce sarà per sempre innocente, quindi il regista mette in crisi i solidi concetti di colpevole e innocente, forse il colpevole non è solo chi ha commesso il delitto, ma anche chi può essere incastrato, forse l’innocente in una storia del genere non è veramente nessuno. Tutto questo costruito in Memorie di un Assassino (lo trovate su Prime Video) con una regia perfetta, concentrata sui primi piani, sui volti, sugli sguardi dei protagonisti e sull’ambiente che li circonda per tutta la storia, campi lunghissimi sulla natura perfetta di quelle campagne sporcate dai corpi senza vita di ragazze innocenti, paesaggi perfetti inquinati dall’imperfezione umana. Imperfezione non solo testimoniata dalla crudeltà del serial killer, ma anche dai due detective. Da un lato un poliziotto scapestrato, incompetente, convinto di poter scovare i criminali guardandoli semplicemente negli occhi, incapace di seguire un’indagine in modo serio e ragionato, dall’altro il poliziotto modello, preparato e pronto a risolvere un caso difficile, ma che però continua a sbagliare, a non trovare la strada giusta e precipita al livello del collega, entrambi perseguitati da dubbi che forse mai si risolveranno.
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