ROMA – «Diamoci del tu!». Maria Pia Calzone dall’altra parte della cornetta demolisce ogni formalità per metterci a nostro agio. L’abbiamo contattata per parlare di Non ti pago, film diretto da Edoardo De Angelis e adattamento dell’opera omonima di Eduardo De Filippo in onda su Rai Uno. Ultimo atto di una trilogia che riporta il teatro sul piccolo schermo finendo, come solo le grandi storie senza tempo sanno fare, per parlare del nostro presente. Ma il dialogo ha finito per spaziare tra il privilegio, da interprete, di poter dare voce e corpo a un personaggio come quello di Donna Imma in Gomorra, l’impegno, come membro dell’Osservatorio per la parità di genere.
NON TI PAGO – «È una farsa e probabilmente è l’opera più riuscita nell’ambito della commedia di Eduardo. L’ho visto lo scorso anno al Festival di Torino e sono riuscita a divertirmi nonostante quando mi riveda ho tutte le paranoie del mondo. Vedo più quello che non sono riuscita a dire rispetto a quello che, invece, sono riuscita a fare (ride, n.d.r.). Mi sono goduta lo spettacolo visivo curato in ogni dettaglio, la visione non convenzionale di De Angelis e le interpretazioni dei miei colleghi. Tutti i personaggi riescono a vivere indipendentemente l’uno dall’altro ma ciascuno per tutti. È molto divertente e spero che la Rai riesca a proporlo al pubblico perché si è dimostrato come i film tratti da opere storiche funzionino, basti pensare a La stranezza, a Qui rido io o a I fratelli De Filippo. È la nostra tradizione recuperata attraverso lo sguardo contemporaneo del regista che se ne fa carico. E funzionano perché si tratta di sceneggiature e storie che hanno una potenza senza tempo».
TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE «La poetica di Eduardo nella mani di Edoardo è attualizzata nel rispetto della tradizione. Le ambientazioni così come i costumi di Massimo Cantini Parrini sono bellissimi. Il film è ambientato a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta perché nell’immaginario di De Angelis questi tre film, Natale in casa Cupiello, Non ti pago e Sabato, domenica e lunedì, sono visti attraverso lo sguardo dell’uomo. Per lui rappresenta il cambiamento della famiglia italiana attraverso tre diverse epoche che dal dopoguerra arrivano fino agli anni Settanta. Per De Angelis sono il perdersi dell’uomo nella società che non sa trovare più una sua collocazione né una sua autorevolezza».
EDUARDO «Come tutti i grandi, al pari di Shakespeare, quello che ha stato scritto è vero sempre perché è calato nella realtà storica del momento in cui le sue opere sono nate, ma si possono adattare anche ad una realtà storica altra proprio come ha fatto De Angelis con il suo film. La frustrazione che vive il protagonista di Non ti pago è la stessa che può provare un uomo di oggi. Paradossalmente, nell’estremizzazione dei comportamenti, è quello che oggi provoca tanti femminicidi: cioè la deteriorazione e l’incapacità dell’uomo di ricollocarsi nella modernità. Gli uomini non riescono ad accettare che le donne si vogliano autodeterminare e quindi, nei casi esasperati, le trattano come dei giocattoli. Come fanno i bambini quando si arrabbiano, sbattono il giocattolo per terra per romperlo. È la frustrazione di non sapere risolvere quella situazione. Non a caso nelle opere di Eduardo l’uomo litiga con la moglie e con le figlie. Oggi l’uomo, in casi ovviamente estremi, non sa più confrontarsi con queste donne e la frustrazione li porta a eliminare il giocattolo. “Non riesco, quindi ti spacco”».
LA SCRITTURA «È la storia a fare la differenza e il modo in cui l’hai scritta. Questo dimostra, non a caso, che le opere che rimangono e diventano tradizione sono quelle in cui il pubblico ci riconosce un valore al di là del qui e adesso. Rimandano a degli archetipi che sono dentro di noi. La sceneggiatura e la storia vengono prima di qualsiasi messa in scena. In Italia forti di questa esperienza credo che dovremmo puntare tantissimo sulla scrittura e formare le nuove leve perché da quello dipende tutto. Non so se non vengono prodotte storie diverse per paura o se invece non ne arrivino. Probabilmente ci sono e dovremmo osare un po’ di più tutti. Soltanto nell’esposizione c’è la possibilità di individuare una cosa straordinaria, nel senso di non ordinaria e non vista, e dovremmo farcene carico un po’ tutti. A cominciare da noi attori».
DONNA IMMA «Se ho temuto di rimanere schiacciata dal successo di Gomorra? No, prima di tutto perché ho fatto una sola stagione. Ho iniziato con nessun investimento emotivo rispetto a quello che stavo facendo perché nessuno si è aspettava il fenomeno che è stato. Per è stata l’occasione di raccontare quello che ero in grado di esprimere. Immediatamente dopo l’uscita da Gomorra, Sergio Rubini mi ha chiamato per fare una commedia teatrale, Carlo Verdone per Benedetta Follia e Marco Ponti per Io che amo solo te. La drammaticità e il contesto di Donna Imma non sono stati intrappolanti per me. Anzi, mi hanno chiamato per fare delle commedie e questo mi ha meravigliosamente sorpreso perché il fatto che mi abbiano pensato papabile per quel genere mi ha fatto tantissimo piacere. Sono molto grata a quel personaggio. Per me è stato un bellissimo regalo ed è stato un privilegio enorme».
GENDER GAP «Faccio parte dell’osservatorio del ministero della cultura per quanto riguarda la parità di genere. È stato istituito un anno fa e proprio in questi giorni abbiamo fatto una presentazione del primo anno di lavoro in cui è stato fatto un focus sull’audiovisivo (qui trovate il rapporto completo). Ho il quadro molto chiaro dello stato dell’arte ed è abbastanza preoccupante perché le registe sono il 15-17% rispetto ai colleghi maschi. Tanto c’è da fare e ovviamente ci sono più documentariste perché questo è legato al budget. I produttori hanno difficoltà ad affidare un budget grande alle registe donne. Questo si percepisce anche nelle paghe che sono l’85% in meno di quelle dei colleghi. Cosa che accade anche a noi attrici. C’è ancora tantissimo da fare ma se consideriamo che fino a 15 anni fa le registe italiane donne erano Lina Wertmüller e Liliana Cavani e solo successivamente sono arrivati nomi come Francesca Comencini o Paola Randi. Partiamo da poco lontano, stiamo parlando di un cambiamento recente. Volendo avere uno sguardo positivo rispetto a questo, tanto è stato anche fatto grazie all’ostinazione messa in moto dalle artiste donne».
LO SGUARDO FEMMINILE «Penso che lo sguardo femminile per forza di cose sia diverso da quello maschile. Ma è diverso sia che si tratti di una regista o di una produttrice rispetto a come legge una proposta. Quando ho fatto Gomorra è cambiato lo showrunner a metà della produzione e quello subentrato in seconda battuta, una donna, mi disse: “Oramai è troppo tardi, ma se io fossi stata sul progetto fin dall’inizio il tuo personaggio non sarebbe morto“. Questo perché lei, avendo un altro sguardo, aveva capito la potenzialità di quel personaggio. Il fatto che ci siano poche registe è una perdita anche in fatto di incassi. La diversità è sempre ricchezza e sicuramente un regista ha un’impronta che non è diversa perché donna, ma perché guarda le cose attraverso elementi che probabilmente un altro sguardo non coglierebbe».
GLI STEREOTIPI «Sarebbe bello se il ruoli femminili fossero meno stereotipati. Perché è nello stereotipo che si annida il pensiero che una donna sia o non sia una persona preparata, professionale, presente a se stessa. Perché Donna Imma è diventata così iconica? Perché non era monofaccia. Era una donna che non riuscivi a inquadrare. Era bella, dolcissima, cattivissima, ambiziosa, potente, fragile. Aveva tutte queste cose dentro, non era il racconto di una cosa. Potevi essere d’accordo con lei, potevi non essere d’accordo con lei ma potevi comprenderla, potevi capirne le ragioni per poi magari dissentirne. Aveva un’autodeterminazione, non era al servizio o ripiegata alla volontà dell’uomo. Era una persona come quelle che incontri nella vita, fatta di contraddizioni».
LE ISPIRAZIONI «Monica Vitti e Jamie Lee Curtis. Sono loro il tipo di attrici che adoro. Donne che non hanno sacrificato il loro aspetto fisico per la commedia o che non hanno dovuto farlo, ma che avevano uno sguardo sempre sardonico sulla vita e questo lo esprimono anche nella recitazione. Ma anche Anna Magnani o Sofia Loren. Donne capaci di essere meravigliose, intelligentissime e di far passare una leggerezza nell’approccio alla vita che per me è poesia. Da giovane non mi facevano fare la commedia e io ne soffrivo! Ho appena finito di girare una serie, La voce che hai dentro con Massimo Ranieri, e il produttore mi ha scritto un messaggio per ringraziarmi per aver alleggerito degli aspetti che neanche loro pensavano potessero essere alleggeriti. Perché la vita è così. Anche nelle più grandi tragedie, se hai quello sguardo, riesci a vedere la comicità. Che poi è quello che fa Eduardo. Le sue sono delle tragedie terribili per le persone che le stanno vivendo ma le modalità in cui le affrontano, a te spettatore, fanno ridere».
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