TRIESTE – Cos’è cambiato nell’ultimo anno nel mondo delle serie? E come si è modificato il mercato della serialità con i nuovi modelli che impattano su distribuzione e produzione? Questo il tema del panel dedicato all’argomento che si è tenuto a Trieste, nell’ambito dell’AVP Summit, uno dei più importanti incontri sul prodotto audiovisivo. Presenti rappresentati di alcune delle case di produzione più influenti del settore. Per capire meglio quali sono le trasformazioni, abbiamo parlato con Marco Chimenz, produttore e co-amministratore delegato di Cattleya, una delle case di produzione indipendenti più importanti dìItalia. Ecco cosa ci ha raccontato.
IL NUOVO MODELLO DELLE SERIE – «Quello che è successo l’anno scorso, ma che sta avendo ancora conseguenze, è che il mercato delle serie, che stava crescendo in maniera ininterrotta grazie anche all’apporto di nuove risorse, è cambiato. Le quotazioni sempre più alte che seguivano la penetrazione del mercato hanno fatto sì che iniziassero a rendersi conto che era importante seguire la marginalità, le azioni in borsa sono crollate e tutte queste piattaforme hanno iniziato a essere più caute. Che per quanto riguarda le serie vuol dire farne meno e cercare di contenere i costi. Uno dei modi in cui hanno agito è stato di prendere i diritti per per un territorio solo, oppure avere più flessibilità, usando una finestra di sfruttamento e lasciandone aperta una seconda. Insomma, varie modalità. È per questo che parliamo di un nuovo modo di finanziamento, che dà la possibilità ai produttori di avere un ruolo centrale ma anche di trovarsi in una situazione di rischio. È un elemento di complicazione, ma anche un modo per reagire a una potenziale crisi.”
LE CONSEGUENZE – «Va sicuramente a impattare a livello produttivo, perché non per tutte le serie è possibile trovare multiple fonti di finanziamento, e va senz’altro a impattare a livello distributivo perché, mentre prima lo streaming prendeva i diritti di tutto il mondo, se adesso prende i diritti soltanto per un Paese o due, poi ci sarà necessità di un distributore. È un sistema dove ritornano con una certa centralità le società di distribuzione. Poi non è che sta avvenendo dappertutto, però può agevolare ad esempio le serie locali, dove produzioni internazionali sono impossibili o molto difficili e ci può essere una condivisione dei budget da parte di una televisione tradizionale e una piattaforma. L’abbiamo visto con Mare fuori, no? Aveva fatto due stagioni alla Rai e poi su Netflix ha trovato un’audience completamente nuova».
IL PUBBLICO – «Per il pubblico si traduce nella tendenza a fare serie tra virgolette più “sicure”, che vuol dire meno sperimentali e forse meno innovative. Quando c’è un po’ di carenza nei finanziamenti o difficoltà, vanno tutti su quello che percepiscono più sicuro, quindi non è da escludere che nei prossimi anni verranno generate serie che possono avere molto successo, ma che magari non hanno picchi di creatività visti in passato. La cosa interessante, però, è che quando succedono queste cose il mercato viene normalizzato. Poi magari spunta un altro operatore che fa delle cose di nicchia molto più elevate e di qualità senza pagarle troppo e va a coprire le necessità di un pubblico più giovane e sofisticato. Il mercato non è mai fisso: oggi facciamo questa fotografia e magari fra sei mesi o un anno dovremo farne una diversa».
CINEMA VS. SERIE TV – «Penso che, se guardiamo il mercato italiano, quello del cinema oggi è parecchio più basso rispetto al pre-Covid, non si è ancora ripreso. E vediamo che la fascia di pubblico che sta mancando non sono i ragazzini, che invece vanno ancora a vedere i film dei supereroi o i grandi film americani, ma è il pubblico adulto dai 25 ai 60 anni, che in Italia era il pubblico che andava a vedere il cinema italiano. Quel pubblico non ha smesso di consumare il prodotto audiovisivo, ma ne trova molto disponibile a livello di serie. Per cui penso che un po’ di cannibalizzazione tra i generi ci sia e dal punto di vista di chi lavora nell’industria può voler dire produrre un film dal punto di vista di chi è innamorato del cinema e considera ancora la sala un tempio. Stiamo attraversando ancora un periodo di assestamento. La crisi non è finita».
IL FUTURO – «Sono ottimista di natura, però non riesco a immaginare che la produzione e la distribuzione per il cinema tornino a essere le stesse, perché penso che ormai si sono aperti molti canali dove il pubblico trova prodotti e quel pubblico si è abituato a trovare anche cose interessanti sulle piattaforme. Quindi andare al cinema, almeno in Italia, diventa un’esperienza più rara…».
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