ROMA – Alle origini de L’uomo nel bosco, il nono lungometraggio da regista dello stimato Alain Guiraudie, precedentemente autore del celebrato e controverso Lo sconosciuto del lago e così de L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, c’è un giovane uomo che dopo essere fuggito dal proprio passato e aver dunque mentito a sé stesso e agli altri per un’intera vita, sceglie di tornare laddove tutto è cominciato. Ai luoghi dei primi amori, dolori e inevitabilmente non detti. Gli stessi che hanno permesso alle crepe dell’anima e del cuore, di farsi sempre più profonde e non più rimarginabili, a causa della grande menzogna e della vita che è stata, appena dopo la fuga e il rifiuto dell’amore. Jérémie Pastor (eccellente prova quella di Félix Kysyl, eternamente sospeso tra disorientamento e feroce maniacalità) torna a Saint-Martial, una piccola comunità francese immersa nei boschi (è lì che si nasconde la natura, è lì che viene camuffata la morte), per onorare la scomparsa del suo ex capo, nonostante gli irrisolti addii del passato e ciò che a quest’ultimo è sopravvissuto, trascinandosi fino al presente. Ha un nome, Vincent (Jean-Baptiste Durand) e un corpo, quello di Walter (David Ayala), che nonostante il tempo e l’inevitabile cambiamento, resta ancora oggetto del desiderio per il giovane Jérémie.

Ad attendere ciascuno di questi uomini, gli imprevisti della fiducia tradita, dell’amore negato e forse perfino dell’abbaglio, nei confronti di una fede che forse non è mai stata realmente tale, tradendosi, divenendo inaspettata illusione, o peggio, insidia e pura manipolazione. Se la prima parte de L’uomo nel bosco, quella dunque boschiva, nebbiosa e mistery, sembrerebbe richiamare il cinema di Xavier Dolan (Tom à la ferme su tutti), è solo in un secondo momento che Guiraudie, sceglie di mostrare la natura reale del suo ultimo lungometraggio da regista. Ed è proprio allora, che lo spettatore attonito, non può far altro che osservare il crollo di un enorme castello di carte, precedentemente retto da bieche convinzioni e ingenue ricostruzioni di una scrittura che fonde e confonde ambiguamente, elementi di melò, psyco thriller, dramma introspettivo e cinema grottesco. Infatti pur riflettendo sulle conseguenze di una sparizione improvvisa e angosciante (della quale lo spettatore ben conosce le cause e così le ragioni), seguita dalle relative indagini e ricerche, L’uomo nel bosco è sulle crepe non più rimarginate, nate dalla distanza tra la memoria del passato e quella dei corpi – c’è realmente stata attrazione? O perfino allora, l’illusione è stata causa dell’addio e della fuga? – che sceglie di concentrarsi, osservando gli elementi del thriller e del mistery come tracce curiose, eppure secondarie di un’indagine maggiore, che è quella di Guiraudie e così di ciascuno di noi. Fino a quale luogo di perdizione e poi persuasione, una menzogna può condurre e mutare l’esistenza di un giovane uomo come tanti? Com’è possibile che il male della violenza, ne oscuri un altro ben peggiore, latente ed instancabile?

A differenza del lodato e controverso Lo sconosciuto del lago, Alain Guiraudie con L’uomo nel bosco si sposta sempre più verso la commedia nera – anzi, nerissima – che molto deve al cinema dei Fratelli Coen e più ancora al dramma Pasoliniano – l’influenza di Teorema è evidente, seppur mai dichiarata -, muovendosi abilmente tra più registri e linguaggi, preferendo di gran lunga al dramma più crudo e disperato, la risata. Nonostante questo, non vi è mai un pieno sollievo, perfino nell’osservazione del buffo, dell’inaspettato e del grottesco – il segmento, dunque svelamento conclusivo sul prete interpretato da Jacques Develay, vale in questo senso la visione del film -, il quale non conduce in alcun modo i suoi personaggi alla soluzione delle ambiguità e del male perpetrato e inevitabilmente subito, piuttosto alla definitiva crudeltà e alla perdizione, quella vera, che ha a che fare con l’anima, gli istinti e la dignità. L’uomo nel bosco è un eccellente esempio di cinema autoriale, capace di far propri linguaggi bassi e linguaggi alti, intrecciandoli tra loro, fino alla messa in luce di uno sguardo nuovo, che è certamente scaturito da chi intende sprofondare lo spettatore nel dramma dell’ambiguità e dell’esistenzialismo più cupo, solitario e disperato, ma anche e soprattutto da chi attraverso la risata, intende mostrare la morte e le insidie dei corpi, così come delle seduzioni taciute e opportunamente celate. Che grande film, che follia.
- HOT CORN TV | L’uomo nel bosco, il trailer
Lascia un Commento