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L’Opinione | Tra satira e politica: perché Vice non parla solo di Dick Cheney

Verità e digressioni, rabbia e spavento, ma anche molta attualità: il film di Adam McKay arriva su CHILI

Una scena di Vice - L'uomo nell'ombra.

ROMA – Tweet su tweet gli Stati Uniti continuano a subire un danno d’immagine che nemmeno la sbadataggine Anni Sessanta di Richard Milhous Nixon può minimamente pareggiare. E, per questo, con il 2020 lontano e all’ottavo giorno, mentre scriviamo, di un ricattatorio shutdown, opere come Vice – la trovate su CHILI – sono i film più importanti che si possono vedere. Così, la buffa, pazza, spaventosa biografia di Dick Cheney è già il film del 2019. E il motivo è chiaro: per capire il presente ed esorcizzare un pessimo futuro, bisogna conoscere il passato. E Adam McKay, il passato lo racconta fondendo nel suo cinema la cronaca e il vezzo, la verità e la caricatura, l’oscuro al pop.

Adam McKay, Steve Carell e Christian Bale sul set di Vice.

Tutto diventa sarcasmo, commedia, tragedia. Che si tratti di un baffuto Anchorman o di una bolla finanziaria, McKay è coerente con il cinema che concepisce e la storia che racconta. Così, l’uomo (nell’ombra) più potente di tutta la complessa e drammatica amministrazione Bush Jr., diventa l’Onnipotente in carica, aggirandosi famelico tra le stanze bianche del comando. Ma quanto c’è di vero in Vice? Abbastanza da far arrabbiare. Abbastanza da mettere paura. E quanto dobbiamo credere al Cheney dell’imbolsito Christian Bale, qui nell’ennesima e perfetta trasformazione (psico)fisica? Come spesso accade, dipende da quale parte della storia scegliete. Teoria e conseguente fatto. Ipotesi e annesso complotto. E McKay che, in centotrentadue minuti, spiega come abbia fatto Cheney a tagliare verticalmente la politica più importante del mondo: da Nixon a Ford, da Bush papà a Bush figlio. Fregando addirittura la morte un attimo prima che il suo cuore malato smettesse definitivamente di battere. Sempre per mano alla sua Lynne Cheney – Amy Adams, che non sbaglia un film –, angelo custode scesa negli inferi del potere.

Dick e Lynne Cheney? No, Bale e Amy Adams.

McKay fa domande a cui prova a dare risposte. Del resto, l’ispirazione per Vice, gli è arrivata quasi per caso, leggendo le incredibili gesta dell’ex Vicepresidente. Cheney, personaggio in cerca di autore quando lui stesso è il creatore di tutti i personaggi. Dunque, McKay, va a comporre una tela lunga trent’anni, per costruire un film a metà tra l’epopea, la satira e lo sberleffo. Pieno di note, appunti, digressioni. E, chi conosce la politica di Washington, sa che l’obiettivo finale è rispolverare i vecchi rapporti confidenziali, mettendoli lì, sotto la lente d’ingrandimento di una memoria a breve termine che fa presto a criticare e troppo tardi a risolvere. Come quel Bush Jr, zimbello di famiglia, in un’entrata in scena che vale da sola l’intera pellicola, interpretato da un irresistibile Sam Rockwell. Dal Texas alla Casa Bianca, dal pollo al barbecue alla Guerra al Terrore. E se le scelte della sua amministrazione fosse riconducibili esclusivamente a Dick Cheney, compreso ogni infinito minuto scoccato dopo lo schianto del primo aereo sulla torre nord? Non a caso, il gioco dell’oca parte da qui, in una rotatoria di flashback e mostri, narrati da una voce fuori campo strettamente legata a Cheney.

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Una scena di Vice.

Domanda su domanda, McKay insinua nella sceneggiatura quanta più verità possibile, l’unica arma per combattere, ieri e adesso, l’appropriazione indebita di ogni Costituzione democratica. E una smorfia non può non arrivare quando, in un parallelo da brividi, Rockwell/Bush muove nervosamente la gamba sotto la sicurezza della Resolute Desk prima di un discorso alla Nazione; laddove a chilometri di distanza un padre e la sua famiglia si rifugiano sotto un altro tavolo, mentre le bombe a stelle e strisce fischiano nel buio della notte. Civile e militare, la stessa gamba che trema. E non finisce qui, perché McKay sa che per far arrivare a destinazione il messaggio, la metafora è l’arma più forte, finendo per farci sedere ad un terzo tavolo dove Alfred Molina, versione maître, spiega il menù ai commensali: il piatto forte? La Unitary Executive Theory, vera protagonista di Vice e, probabilmente, dell’intera Amministrazione Bush.

Vice: solo cinema?

Così, al fianco di Cheney e di Bush, di Condoleezza Rice e di Colin Powell, a quella tavolata ci si siede anche il cinico e nasale Donald Rumsfeld, con il volto di un altro asso, Steve Carell. L’ex Segretario alla Difesa, è la colonna su cui il Vice-President ha costruito il suo gioco politico, dai tempi di Nixon al licenziamento – via telefono – nel 2006. Perché, a proposito di verità, quelle armi di distruzione di massa, a casa di Saddam, proprio non c’erano. E allora, la realtà sbraccia e prende il controllo della situazione: le risate si spengono, i toni si fanno neri. Il gioco è finito, il muro si sta alzando, in una guerra allo slogan e alla propaganda nato dal sangue di chi ha saputo credere in qualcosa. E, spaccando il labile confine tra poltrona e schermo, gli occhi di Cheney ci guardano fissi in faccia, rigirando sull’inerme platea le loro accuse verso quell’uomo enorme. No, oggi, tutto questo, non può essere solo cinema.

  • Volete (ri)vedere Vice? Lo trovate su CHILI

Qui sotto potete vedere il trailer di Vice – L’uomo nell’ombra:

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