ROMA – Tre coppie di amici che si conoscono per motivi diversi sono costrette a rimanere ognuna nella propria casa a causa dell’inaspettato lockdown a Los Angeles. Jonathan ha una galleria d’arte e vive con sua moglie Sue, ma ha un’amante, Clarissa, che non può vedere. Lei invece vive da sola, accanto al suo inquilino iraniano Darius e con poche persone che sente al telefono, tra cui il suo ex-professore e caro amico Paul che è invece sposato a Rita, una donna molto più giovane e molto diversa da lui. Il lockdown farà il resto. Questa la sinossi di Life Upside Down di Cecilia Miniucchi, ora nei cinema americani e in contemporanea in VOD per IFC Films, per poi arrivare nelle sale italiane il prossimo maggio dopo il passaggio a Venezia l’anno scorso.
Prodotto da Euphoria Productions in associazione con Genoma Films, Johnny Boy Entertainment e FR Productions, con protagonisti autentici fuoriclasse del piccolo e grande schermo come l’ex-Saul Goodman Bob Odenkirk (un fenomeno) al suo primo ruolo da protagonista da Better Call Saul, Radha Mitchell e Danny Huston, oltre che Rosie Fellner, Cyrus Pahlavi e Jeanie Lim, Life Upside Down – presentato in concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 79 sotto il titolo di World’s Apart – è l’ultima fatica di una Miniucchi eccellenza italiana al femminile esportata – o per meglio dire trapiantata – a Hollywood dove si è formata e lavora da decenni, di ritorno alla regia dal 2007 di Parcheggio scaduto con Samantha Morton, Jason Patric, Teri Garr e Illeana Douglas, che impressionò favorevolmente critica e pubblico tra Cannes e il Sundance.
Life Upside Down è un film davvero insolito e innovativo, anche nelle modalità in cui è stato girato, con la Miniucchi che ha diretto da remoto gli attori – ciascuno ovviamente recluso nella propria abitazione e isolato dal resto del mondo – catturandone però emozioni ed evoluzione tramite device digitali che non fanno rimpiangere in alcun modo (paradosso) la magia della cinepresa pur a fronte di una certa fissità d’immagine. E se è ovviamente Odenkirk a svettare, forte anche di un Jonathan il gallerista dalla componente caratteriale non dissimile da Saul Goodman, colpisce anche la prova di un Huston inedito come miliardario eccentrico ma fragile, anche se forse è Radha Mitchell motore e coscienza del racconto a cui la Miniucchi affida le chiavi della narrazione nel suo non volersi accontentare della vita.
E qui veniamo al dunque, perché la narrazione di Life Upside Down cresce da sé, spontaneamente, lasciando che sia la condizione coercitiva del lockdown del 2020 e le sue conseguenze socio-culturali in un gioco di mimesi tra realtà e finzione, la naturale molla narrativa nel far rivalutare ai protagonisti la percezione di sé stessi nel mondo in funzione di amori tanto fragili quanto vacui, di un lavoro incerto e costretto al mutamento e di una condizione di vita sottosopra, o comunque, da cui è impossibile tornare indietro: è lo spirito di adattamento a far la differenza, condizione che traspare tra le maglie del racconto. «Ho detto di sì perché volevo essere spaventato, a morte. Mi piace avere paura. Mi piace rischiare. E Cecilia è una persona simpatica, divertente, energica. Mi piace la sua energia», ci ha raccontato Odenkirk via Zoom. «Facevo finta che tutto sarebbe andato bene, ma non ne avevo idea. Ma all’improvviso arrivò la telefonata di Cecilia. Ehi, e se facessimo un film?».
E così è andata: questo è Life Upside Down. Escludendo le narrazioni allegoriche che han saputo narrare del lockdown pandemico tra horror (Crimes of the Future, Sick), thriller (Kimi di Soderbergh, Locked Down), meta-cinema (The Bubble) e quel Bo Burnham: Inside una spanna sopra tutti nel suo essere special televisivo/musical/confessione a cuore aperto, Life Upside Down alla fine della visione risulta la miglior espressione possibile di cinema in lockdown da lasciare ai posteri nella sua semplicità di intenti e nel contenuto trasmesso. Come eravamo? Più o meno. Non perdetelo.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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