MILANO – Allegoria della memoria e degli ideali. La morte dell’utopia. Last and First Men, film di debutto del compianto compositore Johann Jóhannsson in uscita prossimamente in Italia, è tratto dal romanzo di fantascienza, Infinito, di Olaf Stapleton. La genesi quasi biblica del film, in lavorazione dal 2012, ha portato a un risultato in bianco e nero dove immagini di spazi surreali sono accompagnati da una voce narrante, quella di Tilda Swinton, unico indizio di una presenza umana.

Con un salto temporale di due miliardi di anni nel futuro, una specie successiva di esseri umani, più grandi e più forti, è sull’orlo dell’estinzione. Tutto ciò che vediamo sono monumenti, solitari: ricordano quelli eretti in epoca comunista nelle repubbliche della Jugoslavia, in memoria delle tragedie dei Balcani, delle battaglie della Seconda Guerra Mondiale, dei campi di concentramento e dei genocidi. Come dichiarato dallo stesso regista, il film si muove su tre livelli. Quello delle immagini, della musica e del discorso. Tre livelli che non sempre vanno di pari passo.

All’inizio il testo sembra stonare con le immagini che ci vengono mostrate, ma pian piano capiamo che quella voce è portatrice di un messaggio più grande, allo stesso modo di ciò che ci viene mostrato, «Last and First Men crea un dialogo tra le immagini e il testo», le coordinate che con la musica guidano l’esperienza visiva. Fondamentalmente una domanda si insinua mentre ci immergiamo nella visione: cosa possiamo imparare dalla voce che ci parla? La sua saggezza si rivolge a noi, al passato, «vogliamo aiutare il passato a trarre il meglio da sé».

Un messaggio per l’umanità, quindi, in mezzo alle immagini inquietanti che si susseguono in un’andatura sostenuta, portandoci a esplorare luoghi di decadenza dove, lo capiamo, sono accadute grandi tragedie. Tilda Swinton ci racconta della natura precaria dell’essere umano, che è minacciato forse dalla devastazione ambientale o «un microbo più maligno del solito… o i molteplici effetti della sua follia». Nelle intenzioni di Johannson, «il film si concentra sul potere astratto di un altro mondo e la bellezza aliena dei monumenti».

Un mondo che però ci sembra familiare, mentre osserviamo le lande desolate e meditiamo sulle informazioni che ci vengono date. I cosiddetti Last Men sono lo stadio finale della civilizzazione umana. La voce narrante e altri uomini hanno unito telepaticamente le loro menti per formare una «mente di gruppo», sia per completare la missione di dialogare con le menti antiche e «creare un’esperienza congiunta con i fantasmi del loro passato» sia come ultimo, disperato, tentativo di rispondere alle previsioni degli astronomi: il Sole sta morendo, presto la vita sulla Terra si estinguerà.

Dopo un’incredibile carriera come compositore e aver firmato le colonne sonore di grandi film come Arrival di Delleneuve e Madre! di Aronofsky, Johann Jóhannsson ha deciso di creare un’opera completa. Un’opera insieme poetica, filosofica e fantascientifica che ha però alla sua base una profonda riflessione esistenzialista. Un viaggio nel futuro dell’umanità che ne sintetizza le paure e i pericoli di oggi. La realizzazione e la consapevolezza che la vita umana non è che un lampo nel cosmo: «Grandi sono le stelle e l’umanità non ha alcuna importanza per loro».
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Qui potete vedere il trailer di Last and First Men:
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