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Laggiù qualcuno mi ama | Massimo Troisi, Mario Martone e la forma di una vita unica

Napoli, i film, le intuizioni, lo stile, la modernità: un documentario atipico per non dimenticare un genio

Laggiù qualcuno mi ama
Massimo Troisi e un'eredità unica: Laggiù qualcuno mi ama

MILANO – A oltre dieci anni da La meditazione di Hayez, Mario Martone ritorna alla forma del documentario per riconnettersi di nuovo con la sua terra – Napoli, appena toccata con Nostalgia – e con le sue radici – il teatro – allineandosi però con lo spirito di uno dei migliori autori comici che il cinema italiano (e non solo) abbia mai avuto: Massimo Troisi. Laggiù qualcuno mi ama, presentato alla Berlinale nella sezione Berlinale Special e in uscita nelle sale ora in occasione del settantesimo anniversario della nascita dell’attore, racconta il Troisi regista e attore, accompagnandoci nel suo cinema con un viaggio singolare che arriva fino alla sua conclusione naturale con Il Postino di Michael Radford, ultimo film girato nel 1993, pochi mesi prima della morte, il 4 giugno del 1994, a solo 41 anni.

Massimo Troisi
Mario Martone al lavoro su Laggiù qualcuno mi ama. Foto di Fabrizio Di Giulio.

Ma cos’è precisamente Laggiù qualcuno mi ama? Un viaggio che unisce due profili partenopei (Martone racconta Troisi) e che in valigia mette insieme ricordi e frammenti, testimonianze di amici e figure che hanno preso ispirazione da lui e che raccontano, anche tramite contenuti inediti, un cinema che – come dice Martone all’inizio del documentario – «aveva la forma della vita» e poteva farsi comprendere da tutti, anche da chi non era napoletano in un Paese da sempre diviso in regioni e regionalismi. Minuto dopo minuto, dal documentario ritorna alla vita così il Massimo Troisi universale e popolare, capace di unire sia il pubblico che lo ha già conosciuto e non lo ha mai dimenticato (e come sarebbe possibile?), sia le nuove generazioni che scoprono solo adesso i suoi film per la prima volta.

Laggiù qualcuno mi ama
Martone con Paolo Sorrntino (e sigaro) sullo sfondo. Foto: Fabrizio Di Giulio.

A fianco di tutto questo, ecco il lato più tecnico di questa storia del cinema di Troisi raccontato dallo scrittore Francesco Piccolo, dal critico Goffredo Fofi e dai registi Paolo Sorrentino (bellissima la riflessione sui finali e sulla chiusura di È stata la mano di Dio) e proprio Michael Radford, che come detto lo aveva diretto ne Il Postino. Ne vengono fuori confessioni e spiegazioni su ispirazioni ed influenze che non hanno mai smesso di tracciare il cinema italiano dalla sua morte fino ad oggi. Insieme a Martone in questo viaggio non poteva che esserci Anna Pavignano, autrice insieme a Troisi di tutti i film, nonché compagna di vita. La sua testimonianza accompagna una riflessione importante e non scontata sul suo cinema: il ruolo della donna, così forte in confronto ai personaggi interpretati da lui, spesso impacciati, imbarazzati e consapevoli del ruolo da “maschio” che la società gli ha cucito addosso, ma per cui loro non sono mai preparati.

Laggiù qualcuno mi ama
Anna Pavignano in un momento del documentario. Foto: Fabrizio Di Giulio.

È un confronto molto moderno per il cinema di quegli anni, ed è un’altra visione su cui Laggiù qualcuno mi ama si concentra: il contesto in cui nascono queste storie e in cui si muovono questi personaggi è quello di un Paese, l’Italia, che in più di quarant’anni sembra essere cambiato poco e niente (il primo film, Ricomincio da tre, è del 1981). Come altro cinema italiano, quello di Troisi ha saputo cogliere imperfezioni che ai tempi nessuno sospettava essere immortali, ma quando Martone dice che il suo cinema aveva la forma della vita si riferisce proprio a questo particolare che solo Troisi finora aveva saputo cogliere: l’empatia e la sensibilità di fondo di chi ha abitato per tutto questo tempo, tali “imperfezioni” e pure non si è mai arreso.

Laggiù qualcuno mi ama
Ficarra e Picone con Martone sul set. Foto: Fabrizio Di Giulio.

Scena dopo scena il documentario diventa un importante spaccato impreziosito anche dai vari fogliettini e appunti che la Pavignano ha conservato e su cui Troisi scriveva la qualunque: dalle battute più iconiche dei film alle riflessioni sulla vita, fino al diario che giorno dopo giorno racconta la sua malattia anche nei suoi ultimissimi momenti di vita. Nel documentario vengono letti dalle voci più note del panorama del cinema italiano, da Favino a Servillo, tra gli altri, ma ci sono anche Ficarra e Picone. Sullo sfondo sempre Napoli e Martone che dialoga con la città, ma soprattutto con Massimo Troisi, dipingendone un ritratto capace di coglierne il suo spirito sotto qualsiasi forma. E alla fine del film, quando passano i titoli di coda, l’assenza diventa ancora più grande, enorme, quasi insostenibile.

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