ROMA – Non lasciatevi ingannare dal titolo originale, Herself, perché il nuovo film dell’irlandese Phyllida Lloyd, La vita che verrà, più che mettere in scena la parabola solitaria della sua protagonista è il racconto del potere profondo che ha un groppo di persone quando è unito per la stessa causa. C’è anche un termine in gaelico, meitheal, che ne racchiude il senso come spiega uno dei personaggi del film scritto da Clare Dunne (anche protagonista) insieme a Malcolm Campbell (Cosa ha fatto Richard). Sandra è una giovane donna, madre di due figlie e compagna di un uomo violento. Ha spiegato alla più grande delle sue bambine che se un giorno le avesse sussurrato “Black widow” sarebbe dovuta andare a chiedere aiuto per la sua mamma.

Quel giorno arriva e segna sia una fine che un inizio per la donna e le sue figlie. Perché dopo l’ennesima aggressione, Sandra lascia quel marito pericoloso e prova a ricostruire la sua vita. Dopo Mamma mia! e The Iron Lady, Phyllida Lloyd torna a raccontare una storia incentrata su una figura femminile. Un musical, un biopic e ora un film attualissimo che, al suo interno, contiene dei temi senza tempo e di critica sociale. Grande merito della sceneggiatura è quello di mostrare la sua protagonista non come una vittima, ennesima donna soggiogata fisicamente e psicologicamente alle violenze fisiche e verbali di un compagno che non riesce a lasciare o a cambiare, ma come un’eroina.

Perché Sandra intraprende una vera a propria lotta per se stessa e le sue figlie. La sua armatura? Un paio di guanti da lavoro e un cappello da cantiere. Il suo obiettivo? Costruire una casa dal nulla – tutto merito di un video trovato su YouTube – per scavalcare le lunghe liste d’attesa per un alloggio comunale e le assurde leggi burocratiche che spesso mettono in un angolo chi, invece, avrebbe bisogno di una spinta per riprendere quota. Ma per farlo ha bisogno dell’aiuto di più persone. Ed è qui che entra in gioco quel senso di comunità che infonde di speranza La vita che verrà.

Incontri casuali, generosità senza doppi fini, senso di comunità. Quella casa che un gruppo di mezzi sconosciuti decide di costruire diventa una potente metafora di rinascita. Ma La vita che verrà non è affatto una summa di cliché e snodi narrativi prevedibili che portano a un finale da favola in cui il negativo scompare come per magia e resta solo la serenità. Clare Dunne (ispirata da un fatto accaduto a una sua amica) e Phyllida Lloyd lo sanno bene. La vita è imprevedibile, spesso ingiusta e dolorosa, ma è capace di far filtrare un po’ di luce anche dove è tutto nero. Basta solo essere disposti a rialzarsi tutte le volte che si cade, magari stringendo la mano tesa di uno sconosciuto pronto ad aiutarci.
- La video intervista a Phyllida Lloyd di Manuela Santacatterina:
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